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» “Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”
» Prompt: Backstory
» N° parole: 1133


» Fandom: Julie and the phantoms

» Pairing: Reggie & Luke

» Rating: orange
» Warning: parents divorce, sadness, emotional distress, slight H/C


(Hey non-italian fantoms who follow this blog, sorry for this but I thought that since it is a ff Julie and phantoms related I could post here without bother you too much, even if this isn’t in english)


Un lampo illumina a giorno il garage in cui Reggie non si è curato neanche di accendere le luci. Non è uno che ama stare al buio ma in quel momento vorrebbe sparire lui stesso o far sparire tutto ciò che ha intorno e l’ombra aiuta. Certo è che i tuoni che vengono da fuori non contribuiscono a farlo stare calmo: sembrano voler squarciare il cielo e la terra, dividendoli per sempre.

Affonda il viso nelle ginocchia rannicchiate al petto, per cercare di sfuggire ad un pensiero che è riaffiorato nella sua mente e nel frattempo cerca di concentrarsi sul ticchettio delle gocce che colpiscono il pavimento per evitare di focalizzarsi sul cuore che gli romba nel petto.

Non importa quanto si impegni a non farlo ma la sua mente continua a tornare a qualche ora fa, a poco prima di uscire di casa prendendo la bicicletta e buttandosi a capofitto verso quel posto che ora lo accoglie e che è l’unico in cui al momento si sente al sicuro.

Sente ancora la voce alta e stridula di sua madre che urla contro suo padre. Sente un pugno sbattuto sul tavolo e un’accusa che sembra uscirgli direttamente dal petto: «Non riesci neanche a prenderti cura dei nostri figli. Elisabeth sta per essere buttata fuori dal college e Reggie a casa non c’è mai, sempre con la testa in quella dannata musica. Lo capisci che li stiamo perdendo?»

«No. Sei tu non capisci. Sei tu che ti stai allontanando da noi e neanche te ne rendi conto. Pensi che non lo sappia dove vai una volta alla settimana. Pensi che sia stupida?»

«Tu sei pazza», di nuovo un’accusa affilata e baritonale.

«Non ti permetto di chiamarmi in quel modo!»

«Come dovrei chiamarti se deliri?»

Reggie ricorda solo di essersi catapultato fuori dalla porta di casa più velocemente possibile per non sentire nient’altro di quel discorso assurdo di cui ha capito solo una semplice cosa: sta perdendo suo padre.

Non che non se ne fosse già accorto. Da tempo ormai era spesso fuori casa, quando era presente non c’era mai davvero con la testa e ben presto il rapporto che condividevano si era andato affievolendo.

Aveva provato a capire cosa ci fosse che non andasse. Se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Se fosse lui il problema ma per quanto si sforzasse nulla sembrava più attirare la sua attenzione.

Aveva pedalato più veloce che poteva con le lacrime schiacciate dal vento sui lati del suo viso e le gocce di pioggia che lo avevano trovato solo al termine del suo viaggio, quando aveva lasciato la bicicletta malamente a terra e si era rinchiuso lì dentro aspettando chissà cosa, chissà chi.

Non sa bene quanto tempo è passato quando sente la porta cigolare e una figura stagliarsi sul rettangolo appena illuminato che lascia intravedere il mondo bersagliato da gocce di pioggia fitta e cosante.

I suoi occhi si sono abituati alla luce fioca dei lampioni che viene da fuori ma l’ultimo lampo gli permette di riconoscere la figura solo dopo alcuni istanti.

Luke viene avanti fradicio dalla testa ai piedi, con i capelli schiacciati sul viso e la camicia grondante. Reggie tira su col naso e rimane immobile finché l’altro non accende la luce e lui è costretto a stringere gli occhi.

«Reg, sei qui. Tua madre ha chiamato da me. Era molto preoccupata».

Reggie non risponde, distoglie lo sguardo dal viso di Luke e dagli occhi enormi che sempre escono fuori quando è preoccupato.

«E ti ha costretto a farti un quarto d’ora sotto il diluvio solo per sapere dove fossi?»

«Ho deciso io di venire», dice semplicemente Luke lasciandosi cadere a terra accanto a lui. «Sapevo che ti avrei trovato qui».

Reggie non risponde e continua a fissare un punto imprecisato davanti a sé, non curandosi dei vestiti di Luke che stanno bagnando i suoi tanto gli è vicino.

«Che succede?»

Reggie non è uno che è abituato a parlare dei suoi problemi, ha sempre preferito far finta di non averne e piuttosto far ridere gli altri. In quel momento però, il suo cervello è bloccato sulle parole dei suoi genitori che continuano a ronzargli in testa senza che riesca a liberarsene. Per questo, prende un respiro e lascia che le parole fluiscano senza che lui davvero abbia potere su di loro.

«I miei hanno litigato un’altra volta. Li ho sentiti gridare nonostante avessi su le cuffie. Si accusavano a vicenda, si sputavano addosso cose indicibili. Mio padre ha detto che è colpa di mamma se io e Elisabeth siamo così, lei con le difficoltà al college, io sempre perso a fare robe inutili».

Una lacrima sfugge alle sue ciglia e lui la asciuga con il dorso della mano velocemente, come se fingendo di non piangere in realtà non facesse così male.

Luke se ne sta in silenzio ad ascoltarlo e Reggie lo apprezza perché al momento non ha bisogno di nessun consiglio, di alcun commento.

«Avevo già capito che c’era qualcosa che non andasse tra di noi ma non capivo cosa. Invece desso è chiaro che ci reputa solo un peso, una noia con cui dover scendere a patti in tutta questa situazione del divorzio».

Passano alcuni minuti in cui il corpo di Luke è appoggiato al suo e lui sente i jeans e la camicia bagnarsi e raffreddare la pelle.

«Pensavo fosse una cosa risolvibile, invece non sembra affatto così. Mio padre se ne andrà di casa è solo questione di tempo».

Reggie fa ricadere di nuovo la testa sulle ginocchia come se pronunciare quella frase ad alta voce fosse stato una pugnalata dritta al cuore che gli ha tolto tutte le forze all’improvviso.

Per questo non si accorge del braccio di Luke che gli sia avvolge sulle spalle finché lui non se lo tira addosso poggiando il viso sulla sua testa.

Reggie rimane per un attimo interdetto, poi il calore del corpo di Luke attraverso la maglietta lo calma, così come il battito del suo cuore lento e regolare.

Sente le dita giocare sulla sua spalla e pian piano si lascia andare aggrappandosi alla canotta e lasciandosi cullare dal petto dell’amico che si alza e si abbassa placido.

Luke lo tiene stretto finché non si calma e le lacrime non minacciano più di scendere. Lo tiene accanto a sé fintanto che tutto ciò che non sta dicendo passi attraverso la pelle, i muscoli e i respiri. Lo tiene finché Reggie non sente i vestiti bagnati come quelli di Luke e fintanto che non sente anche un po’ freddo ma non ha ancora intenzione di scostarsi perché la mano di Luke ancora gli accarezza la spalla e lui si sente finalmente, se non proprio sereno, almeno calmo.

Magari rimarrà lì immobile a prendere freddo e affetto ancora per un po’, almeno finché non smette di piovere.

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