#caso moro

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“ [U]na mattina di gennaio, sono andato a casa di Francesco Cossiga, insieme ad altri. Stavamo scrivendo un film per la tv su Aldo Moro. Ci ha accolti la figlia, gentile e distante. Ci ha accompagnati nel salone, dove c'erano foto incorniciate, appese al muro o sparse sui tavolini: ritraevano Cossiga insieme alle più grandi personalità della storia recente. Dopo un po’ lui è arrivato, camminando con passetti piccoli, trascinando scarpe morbide da casa: indossava una tuta adidas mal combinata con dei pantaloni di tuta champion. Si è seduto e ha subito detto: voi lo sapete che - e ci ha raccontato un pettegolezzo su Moro che non riporterò perché riguardava la vita privata e non pubblica. Dirò soltanto che è stato molto sorprendente e soprattutto spiacevole perché ci ha chiesto se lo avremmo messo nel film. Poi ha cominciato a raccontare facendo duemila digressioni, con brillantezza e ironia (e anche autoironia). Un narratore vero, che si sentiva già dentro la Storia, molto colto sulla politica e molto propenso a parlar male degli altri; ma allo stesso tempo una persona intelligente che dava giudizi acuti. Ha parlato a lungo del suo rapporto con Moro, e di quei 55 giorni del 1978. Ricordava tutto, muoveva la Storia un po’ come gli risultava favorevole, tendeva sia a sdrammatizzare alcune coincidenze tragiche, sia a rendere più ambigui certi passaggi: Moro non si fidava di Andreotti, da molto tempo non aveva più buoni rapporti con Zaccagnini, nei suoi progetti ero io il suo successore.
Ha anche detto che i brigatisti hanno ucciso Moro perché ormai le forze dell'ordine li avevano braccati. Ha parlato del dolore di quella prima lettera, ma cercando di passare ad altro al più presto, e quindi denunciando quel dolore come profondo. E soprattutto ha detto senza esitazioni una frase che serviva a minimizzare la volontà di non liberare Moro, ma non la minimizzava: certo, io e Andreotti ci siamo detti che se Moro fosse uscito vivo da lì, per noi sarebbe stata la fine. Ha detto questa frase come se riportasse una riflessione tra due persone che poi sapevano di dover agire in altro modo, come se fosse una chiacchierata trascurabile. Solo che non ha avuto l'effetto in sordina che desiderava, perché quella frase pronunciata con serenità ci ha fatto rabbrividire. Ho sentito con nettezza che avremmo voluto guardarci, ma nessuno di noi lo ha fatto, e abbiamo finto che fosse una frase come un'altra. “

Francesco Piccolo,Il desiderio di essere come tutti, Einaudi (collana Super ET), 2017 [1ª ed.ne 2013]; pp. 218-219.

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