#il giorno del giudizio

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“ L'assenza del padre nella casa è una terribile presenza. Ma io non saprei dare torto, nel giorno del giudizio, a Don Sebastiano, o almeno non gli darei torto del tutto. Tutte quelle cose che si scrivono sui padri e sui figli, tutti quei drammi, sono per me letteratura, e la famosa pedagogia è paternità a freddo; e niente altro. Ciascuno è padre di se stesso e figlio di se stesso, questa è la mia idea. Don Sebastiano aveva sette figli, che sono molto più di un intero popolo per un re: e il suo sogno di laurearli tutti, che l'intelligenza dei figli incredibilmente sembrava favorire, cominciava a realizzarsi con la terribile diaspora dei più grandicelli. Come mi pare di aver detto, per andare avanti negli studi, bisognava correre l'avventura della lontana città, di Sassari o addirittura di Cagliari. Questo voleva dire per Don Sebastiano, mandare ogni mese cento lire per ogni figlio, e per il notaio di Nuoro era una cosa che metteva a dura prova le sue forze. Gli sembrava che fosse venuta fuori una nuova misura della sua ricchezza. Che un ragazzo quindicenne venisse catapultato dalla casa e dal borgo in una città lontana, in una vera città, dove non esistevano amici né conoscenti, se non qualche notaio importante che non era certo il caso di disturbare, e là, arrivato dopo una giornata di viaggio, dovesse arrangiarsi a trovare una pensioncina presso qualche vecchia zitella, privandosi di tutto; che in questo impatto col mondo potesse soffrire, non era cosa che lo preoccupasse e neppure gli passava per la mente. In fondo non era che una posta nella grande partita della sua esistenza, che giocava senza nemmeno avvedersene. La pena era di Donna Vincenza, che vedeva i figli staccarsi dal suo seno, che si alzava prima dell'alba per preparare il viatico (le cose che ciascuno amava o ella credeva che amasse), che sapeva che quello non era un principio ma una fine. A Natale e a Pasqua (il lungo viaggio e la spesa non consentivano ritorni durante l'anno) avrebbe spedito loro quei buoni dolci di mandorla e zucchero, i culurjonesdi marzapane avvolti in un'ostia e fritti, che essa stessa lavorava con l'aiuto di Peppedda, e di qualche tributaria della casa che si prestava per devota e dolente amicizia: ma sentiva che quando sarebbero tornati, per le grandi vacanze, non sarebbero più stati i suoi figli.
Donna Vincenza guardava con amore i libri che i figli raccoglievano con amore, e che essa non avrebbe mai letto. Sebastiano che ancora le saltava in grembo, voleva talvolta leggerle qualche pagina, ma essa gli chiedeva prima se erano ‘cose vere’: e l'ingenua domanda aveva una sua profondità, perché era l'inconsapevole rifiuto della fantasia. Vi era in questo un punto di contatto con Don Sebastiano, perché anch'egli non viveva che della verità, e il suo mestiere era proprio quello di registrare la verità. E invece la fantasia entrava nella casa austera coi libri, e operava silenziosamente, toccando con la sua bacchetta magica uomini e cose. “

Salvatore Satta,Il giorno del giudizio, Adelphi, 1979²; pp. 64-66.

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