#libertà di parola

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“ Pavel lascia i manoscritti di Babel’ sul pavimento accanto al tavolino. Si volta per uscire.
«Aspetti» dice perentorio Rodos, sollevando una mano su cui luccica una grossa fede nuziale. Il graffiare lento e intenzionale della penna riempie la stanza. La luce che entra dalla finestra batte sulla testa dell'ufficiale, cosicché Pavel ne vede il cranio pallido attraverso i capelli neri, unti, dove il pettine ha scavato una serie di piccoli solchi. Dall'appendiabiti nell'angolo penzolano una pistola nella sua fondina, la Tokarev TT d'ordinanza, e il berretto blu dell'uniforme di Rodos. Dopo un minuto buono, la mano si abbassa. «Lei sarebbe…?»
«Pavel Dubrov.»
«Dubrov. Come mai non l'ho mai vista in giro?»
«Lavoro ai piani bassi. Negli archivi speciali della Quarta Sezione.»
«E cosa fa?»
Rimetto in ordine dopo che siete passati voi, pensa Pavel. «Sono l'archivista.»
«Giusto. Il nostro bibliotecario. Allora.» Rodos si raddrizza sulla sedia. «Archivista. Che cosa c'è nella scatola?»
«I manoscritti di Isaak Babel'»
La debolezza è salita fin nella gola di Pavel. Guarda fuori dalla finestra. La luce del sole avanza nel cortile, le saracinesche di ferro nero della prigione si abbassano. Rodos, alzatosi dalla sedia, dà un colpetto con la punta dello stivale, lucidissimo, alla scatola di cartone portata da Pavel.
«Il nostro bravo scribacchino. Basta una sua lettera e siamo rovinati.»
«Pensavo» dice Pavel «che l'indagine fosse conclusa.»
«Lo sarà presto.» Rodos torna alla scrivania. «Ecco.» Prende un foglio da una cartelletta aperta, lo porge a Pavel. Una copia carbone, battuta a macchina. La lettera di Babel’ a Berija.
Cittadino commissario del popolo, nel corso dell'istruttoria ho raccontato i miei crimini senza risparmiarmi, mosso soltanto dal desiderio di purificazione e di espiazione. Voglio rendere conto di un altro aspetto della mia esistenza, del mio lavoro letterario, che ho proseguito in solitudine, tormentosamente, a strappi, ma che non ho mai abbandonato. Io le chiedo, cittadino commissario del popolo, di permettermi di riordinare i manoscritti che mi sono stati sottratti.
«Cosa pensa che abbia in mente?» chiede Rodos.
La stessa cosa che ho in mente io, pensa Pavel, restituendo la lettera. Babel’ sta cercando di salvarsi nell'unico modo ormai possibile: mettendo in salvo i suoi racconti. Pavel ha le punte delle dita annerite per aver toccato la copia carbone.
«Non lo so.»
«Una cosa è certa» dice Rodos. «Il nostro maledetto scribacchino è completamente rincretinito e crede che il suo trucco funzionerà. Può scrivere tutte le lettere che vuole, alla fine non servirà a niente.» Agita la lettera di Babel’ in direzione della pistola sull'appendiabiti. «Ha mai visto un foglio di carta fermare una di quelle?»
Anche da dove si trova Pavel riesce a sentire l'odore di olio che emana dai capelli dell'ufficiale.
«No» risponde.
«Nemmeno io. “

Travis Holland,Storia di un archivista, traduzione di Elisa Banfi, Guanda (collana Narratori della Fenice), 2008; pp. 182-184.

[ Edizione originale: The Archivist’s Tale, The Dial Press, New York City, USA, 2007 ]

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