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“ Influente nell'aristocrazia, erede della dinastia intellettuale che faceva capo alla scuola del Museo, Ipazia era soprattutto maestra del «modo di vita ellenico» (hellenikè diagogè), sostanzialmente politico, cui l'aristocrazia pagana s'ispirava: lo conferma Suida, ancora qui da identificarsi in Esichio, secondo cui era «fluente e dialettica (dialektikè) nel parlare, accorta e politica (politikè) nell'agire, così che tutta la città davvero la venerava e le rendeva omaggio». «Dalla cultura ellenica (paidèia) le derivava», come ci informa Socrate Scolastico, «un autocontrollo e una franchezza nel parlare (parrhesìa)» per cui «si rivolgeva faccia a faccia ai potenti e non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini: per la sua straordinaria saggezza, tutti costoro le erano deferenti e la guardavano, se mai, con timore reverenziale».
Ipazia era la portavoce dell'aristocrazia cittadina presso i rappresentanti del governo centrale romano e in particolare presso Oreste d'Egitto. «I capi politici venuti ad amministrare la città», riferisce Suida, «si recavano per primi ad ascoltarla, come seguitava ad avvenire anche in Atene. Poiché, se anche il paganesimo vi era finito, comunque il nome della filosofia pareva ancora grande e degno di venerazione a quanti avevano le più importanti cariche cittadine». La filosofa influenzava direttamente e fortemente la politica interna della sua città: «Tu hai sempre avuto potere. Possa tu averlo a lungo, e possa tu di questo potere fare buon uso», si legge in una lettera di raccomandazione che le indirizzò l'allievo Sinesio.
Ma proprio da questo potere locale e clientelare prende le mosse la trasformazione delle classi dirigenti, avviata nelle sedi provinciali dal legittimarsi politico della Chiesa. La polistardoantica e bizantina vedrà d'ora in poi il vescovo, non più il filosofo, farsi consigliere e «garante civico» del rappresentante statale. «Il vescovo cristiano doveva avere il monopolio della parrhesìa!», ha scritto Peter Brown, proponendo, appunto sul caso di Ipazia, un sillogismo storico fin troppo immediato: se nella fase di trapasso dal paganesimo al cristianesimo il ruolo del filosofo e del vescovo vengono a sovrapporsi, che cosa fa il vescovo, se non eliminare il filosofo? «Phthonospersonificato si levò in armi contro di lei», denuncia Socrate. La gelosa malevolenza, lo phthonosdei cristiani per i pagani secondo tutte le fonti, e secondo un luogo comune della letteratura antica, è causa della fine violenta non solo di Ipazia ma insieme dell'antico modo di vita della polis, cui Suida accenna nel suo sfumato riferimento ad Atene. “

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Brano tratto da Ipazia, l’intellettuale, saggio di Silvia Ronchey raccolto in:

AA. VV.,Roma al femminile, a cura di Augusto Fraschetti, Laterza (collana Storia e Società), 1994¹; pp. 215-16.

“ Nell’angoscia dell’inserimento sociale il giovane nasconde un conflitto col modello patriarcale. Questo conflitto si rivela nelle istanze anarchiche in cui viene espresso un no globale, senza alternative: la virilità rifiuta di essere paternalistica, ricattatoria. Ma senza la presenza del suo alleato storico, la donna, l’esperienza anarchica del giovane è velleitaria, ed egli cede al richiamo della lotta organizzata di massa. La ideologia marxista-leninista gli offre la possibilità di rendere costruttiva la sua ribellione affiancandosi alla lotta del proletariato a cui è delegata anche la sua liberazione. Ma così facendo il giovane viene risucchiato in una dialettica prevista dalla cultura patriarcale, che è la cultura della presa del potere; mentre crede di aver individuato col proletariato il nemico comune nel capitalismo, abbandona il terreno suo proprio della lotta al sistema patriarcale. Egli pone tutta la sua fiducia nel proletariato come portatore della istanza rivoluzionaria: vuole svegliarlo se gli sembra intorpidito dai successi dei sindacati e dal tatticismo dei partiti, ma non ha dubbi che quella è la nuova figura storica. Facendo la lotta per un altro il giovane ancora una volta subordina se stesso che è esattamente quanto si è sempre voluto da lui. La donna, la cui esperienza femminista ha due secoli di vantaggio su quella del giovane, e che all’interno della rivoluzione francese prima, di quella russa poi ha cercato di unire la sua problematica a quella dell’uomo sul piano politico, ottenendo solo il ruolo di aggregato, afferma che il proletariato è rivoluzionario nei confronti del capitalismo, ma riformista nei confronti del sistema patriarcale.
Secondo una notazione di Gramsci, «i giovani della classe dirigente (nel senso più largo) si ribellano e passano alla classe progressiva che è diventata storicamente capace di prendere il potere: ma in questo caso si tratta di giovani che dalla direzione degli anziani di una classe passano alla direzione degli anziani di un’altra classe; in ogni caso rimane la subordinazione reale dei giovani agli anziani come generazione» (citazione tratta da A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura). “

Carla Lonzi,Sputiamo su Hegel.

[ 1ª edizione: casa editrice “Rivolta Femminile”, 1970 ]

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