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Il 17 marzo del 45 a.C. ci fu la battaglia presso le pianure di Munda, l'ultimo scontro di rilievo della guerra civile in Iberia e che vide contrapposti sul campo di battaglia Giulio Cesare contro Gneo Pompeo e Tito Labieno, suo ex legato in Gallia.
Il resoconto della battaglia ci viene fornito in modo dettagliato da Cassio Dione e dal Bellum Hispaniense (un'opera letteraria il cui autore, probabilmente un comandante di Cesare, è sconosciuto).
“L'ordine di battaglia constava di 13 aquile, che erano protette ai lati dalla cavalleria, con 6 mila uomini di fanteria leggera; si aggiungevano inoltre quasi altrettanti ausiliari. Le nostre forze consistevano in 80 coorti e 8 mila cavalieri” (Bell. Hisp., XXX, 1).
L'esercito di Pompeo era accampato su una piccola collina, posizione sfavorevole ad un eventuale attacco di Cesare: “Sebbene i nostri fossero superiori per valore, gli avversari si difendevano disperatamente sulla posizione superiore e c'era da entrambi i lati un forte rumore e un fitto tiro di proiettili, così che i nostri quasi disperavano della vittoria” (Ivi, XXXI, 1).
“Cesare e Pompeo, vedendo dai loro cavalli a dalle alture questo spettacolo, non sapevano se dovevano sperare o temere. Nel vedere la battaglia dall'esito incerto, saltarono giù dai loro cavalli e si gettarono nella mischia” (Cassio Dione, XLIII, 37, 3-4).
Vista la progressione di Cesare sull'ala destra del suo schieramento, Pompeo tolse una legione dal suo fianco destro per poter meglio fronteggiare l'avanzata di Cesare, commettendo un grave errore: infatti la cavalleria di Cesare attaccò in forze il lato destro di Pompeo, mentre la cavalleria del re di Mauretania Bogud, tenuta a riposo fino a quel momento, riuscì a portarsi sul retro dello schieramento del figlio di Pompeo Magno, creando totale scompiglio tra le fila dell'esercito avversario.
“[…] i soldati non poterono più ricostituire le proprie file, perciò fuggirono, dirigendosi verso la città, respingendo con vigore i nemici e non desistettero prima di essere circondati da ogni parte e la città fu conquistata solo dopo che tutti caddero nella varie sortite. Le perdite tra i soldati romani, tra i quali Labieno, furono da ambo le parti così elevate che i vincitori, non sapendo come sbarrare le uscite dalla città per impedire che di notte qualcuno fuggisse, ammucchiarono davanti ad esse i cadaveri dei nemici” (Ivi, XLIII, 38, 3-4).
La completa vittoria di Cesare e la pacificazione successiva della penisola Iberica segnarono l’eliminazione di ogni forza armata di opposizione ai progetti di Cesare, il quale tornò a Roma divenendo dictator.
(I passi sono tratti da: Cassio Dione, Storia Romana (a cura di Giuseppe Norcio), BUR, Milano 1995; Pseudo-Cesare, La lunga guerra civile (a cura di Luigi Loreto), BUR, Milano 2009).