#storiaromana

LIVE

VOCI DI ROMA

ANCO MARZIO E IL RITO FEZIALE

“Volendo istituire cerimonie guerresche, perché non si facessero guerre senza prima averle dichiarate secondo un certo rito, fissò la procedura, tratta dagli antichi Equicoli e ancor oggi seguita dai feziali, con la quale si richiedono riparazioni. Quando il messo giunge nel territorio del popolo al quale si chiedono riparazioni, col capo bendato dice: «Ascolta Giove, ascoltate oh confini - e qui nomina il popolo a cui essi appartengono - ascolti la giustizia divina: io sono il pubblico rappresentante del popolo romano; vengo delegato giustamente e santamente e alle mie parole sia prestata fede».

Quindi espone le richieste ed invoca Giove a testimone: «Se io chiedo che mi vengano consegnate quelle persone e quelle cose contrariamente al diritto romano e divino, non permettere che io riveda mai più la mia patria». Queste cose ripete e varca il confine, quando incontra il primo uomo in territorio nemico, quando entra nella città e quando giunge al foro, mutando solo poche parole della formula.

Se non vengono soddisfatte le sue richieste, passati 33 giorni, in questo modo dichiara guerra: «Ascolta, oh Giove e tu, oh Giano Quirino e voi tutti, oh dèi del cielo, della terra e degli inferi, ascoltate; io vi invoco a testimoni che quel popolo - e qui ne fa il nome - è ingiusto e non concede il risarcimento dei danni. Ma su queste cose consulteremo gli anziani in patria, su come possiamo far valere il nostro il nostro diritto».

Tornato a Roma, il re poi si consultava col Senato e se si decideva per la guerra […] era usanza che il feziale portasse al confine nemico un'asta con la punta di ferro o bruciacchiata e tinta di sangue, dichiarando guerra e lanciandola nel territorio nemico.”

✍️Tito Livio, I, 32, 5-11 (a cura di Claudio Moreschini), BUR, Milano 2013.

(Nell'immagine: affresco proveniente dalla necropoli dell'Esquilino,tomba dei Fabii o Fannii, oggi ai Musei Capitolini.Datato alla prima metà III secolo a.C. ritrae forse un rito feziale.

VOCI DI ROMA

CICERONE VS CATILINA

“Fino a quando, Catilina, intendi dunque abusare della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora questo tuo comportamento fazioso si prenderà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà la tua illimitata sfrontatezza? Non ti turbano il presidio notturno a difesa del Palatino, le pattuglie armate che perlustrano la città, l'angoscia del popolo, l'accorrere di tutti i cittadini onesti e neppure la scelta di questa sede - così difesa - per le riunioni del Senato? Non ti accorgi che i tuoi progetti sono scoperti? […] O tempora! O mores! Il Senato è al corrente di questi progetti, il console ne è consapevole: eppure lui continua a vivere. A vivere? Non solo, ma addirittura viene in Senato, gli si permette di prendere parte alle decisioni d'interesse comune, osserva ciascuno di noi e con un'occhiata gli assegna un destino di morte. Quanto a noi siamo convinti di fare abbastanza per la cosa pubblica vanificando i furiosi tentativi assassini di costui. Ti si sarebe dovuto condannare a morte già in precedenza”.

✍️Cicerone, Prima orazione contro Catilina (8 novembre del 63 a.C.), I, 1-2 (a cura di Elisabetta Risari), Mondadori, Milano 2009.

(Nell'immagine: Cicerone pronuncia in Senato la prima Catilinaria, affresco di Cesare Maccari, conservato a Roma, Palazzo Madama, Sala Maccari).

ROMA SU PIETRA

LA CARRIERA DI PLATORIO NEPOTE

Trattasi di una celeberrima iscrizione onoraria, molto citata per la sua ammirevole completezza e per i diversi elementi di interesse che presenta, tra gli altri:

la straordinaria complessità della formula onomastica, la particolare organizzazione del cursus honorum in un ordine personalizzato.

Qui interessano in particolare i due incarichi germanici: agli inizi della carriera il tribunato militare della legio XXII Primigenia Pia Fidelis, di stanza a Mogontiacum, dopo circa 20 anni il governatorato della Germania inferior.

Legittimo chiedersi quanto decisivo potesse essere stata la permanenza nello stato maggiore di una legione acquartierata nella capitale della Germania Superior per la sua nomina a governatore della Germania Inferior.

Almeno altrettanto importanti le esperienze come governatore della provincia di Tracia e il comando della legio I Adiutrix, di stanza a Brigetio, in Pannonia, impegnata nelle guerre daciche di Traiano. Da non sottovalutare infine, forse grazie alla grande competenza ed esperienza maturate, il governatorato provinciale in Britannia, uno degli incarichi di più alto rango, (insieme ai proconsolati di Africa e Asia).

Di seguito il testo dell'iscrizione (CIL V, 877= ILS 1052):


A(ulo) Platorio A(uli) f(ilio) / Serg(ia) Nepoti / Aponio Italico / Maniliano / C(aio) Licinio Pollioni, / co(n)s(uli) auguri, legat(o) Aug(usti) / pro pr(aetore) provinc(iae) Bri/tanniae, leg(ato) pro pr(aetore) pro/vinc(iae) German(iae) inferior(is), / leg(ato) pro pr(aetore) provinc(iae) Thrac(iae), / leg(ato) leg(ionis) I Adiutricis, / quaest(ori) provinc(iae) Maced(oniae), / curat(ori) viarum Cassiae / Clodiae Ciminiae novae / Traianae, candidato divi / Traiani trib(uno) mil(itum) leg(ionis) XXII / Primigen(iae) P(iae) F(idelis), praet(ori), trib(uno) / pleb(is), IIIvir(o) capitali, / patrono, / d(ecreto) d(ecurionum).

ACCADDE OGGI

Il 18 marzo del 37 d.C. Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, meglio noto come Caligola, divenne Imperatore.

Le circostanze della sua ascesa al principato ci vengono tramandate soprattutto da Svetonio e da Cassio Dione, i quali insistono sulle volontà testamentarie del predecessore ed esaltano l'ascendenza su tutto il popolo romano.

“Tiberio, tuttavia, aveva lasciato in eredità l'impero anche a suo nipote Tiberio (Gemello, figlio di Druso Minore e di Livilla), ma Gaio, dopo aver inviato in Senato il testamento dell'Imperatore per mezzo di Macrone, lo fece invalidare dai consoli, sulla base del fatto che era stato compilato da una persona che non era in possesso delle sue facoltà mentali, visto che aveva permesso a un fanciullo, al quale non era neppure concesso entrare in Senato, di governare su di loro” (Cassio Dione, LIX, 1-2).

“Ottenuto così il potere, esaudì i voti del popolo romano, principe desideratissimo dalla maggior parte dei provinciali e dei soldati, che in molti lo avevano conosciuto da bambino, ma anche da tutta la plebe urbana memore del padre Germanico. […] Pertanto, quando lasciò Miseno, sebbene stesse accompagnando il feretro di Tiberio, vestito a lutto, avanzò in mezzo a una fittissima ed entusiasta folla di gente che gli andava incontro. […] Gli vennero conferiti potere e autorità assoluti, in un tale tripudio popolare che nei tre mesi successivi si dice che furono immolati oltre 160 mila animali. A quell'immenso amore dei cittadini, si aggiunse anche un notevole favore degli stranieri. Atrabano, re dei Parti, chiese di essergli amico e venne a colloquio con il legato consolare e, quando ebbe attraversato l'Eufrate, rese ossequio alle aquile e alle insegne romane e all'effige dei Cesari” (Svetonio, Caligola, XIII; XIV).


(I passi sono tratti da: Cassio Dione, Storia Romana (a cura di Marta Sordi), BUR, Milano 2014; Svetonio, Vita dei Cesari (a cura di Francesco Casorati), Newton Compton, Roma 2010.

(Nell'immagine busto di Caligola, conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York).

ACCADDE OGGI

Il 17 marzo del 45 a.C. ci fu la battaglia presso le pianure di Munda, l'ultimo scontro di rilievo della guerra civile in Iberia e che vide contrapposti sul campo di battaglia Giulio Cesare contro Gneo Pompeo e Tito Labieno, suo ex legato in Gallia.

Il resoconto della battaglia ci viene fornito in modo dettagliato da Cassio Dione e dal Bellum Hispaniense (un'opera letteraria il cui autore, probabilmente un comandante di Cesare, è sconosciuto).

“L'ordine di battaglia constava di 13 aquile, che erano protette ai lati dalla cavalleria, con 6 mila uomini di fanteria leggera; si aggiungevano inoltre quasi altrettanti ausiliari. Le nostre forze consistevano in 80 coorti e 8 mila cavalieri” (Bell. Hisp., XXX, 1).

L'esercito di Pompeo era accampato su una piccola collina, posizione sfavorevole ad un eventuale attacco di Cesare: “Sebbene i nostri fossero superiori per valore, gli avversari si difendevano disperatamente sulla posizione superiore e c'era da entrambi i lati un forte rumore e un fitto tiro di proiettili, così che i nostri quasi disperavano della vittoria” (Ivi, XXXI, 1).

“Cesare e Pompeo, vedendo dai loro cavalli a dalle alture questo spettacolo, non sapevano se dovevano sperare o temere. Nel vedere la battaglia dall'esito incerto, saltarono giù dai loro cavalli e si gettarono nella mischia” (Cassio Dione, XLIII, 37, 3-4).

Vista la progressione di Cesare sull'ala destra del suo schieramento, Pompeo tolse una legione dal suo fianco destro per poter meglio fronteggiare l'avanzata di Cesare, commettendo un grave errore: infatti la cavalleria di Cesare attaccò in forze il lato destro di Pompeo, mentre la cavalleria del re di Mauretania Bogud, tenuta a riposo fino a quel momento, riuscì a portarsi sul retro dello schieramento del figlio di Pompeo Magno, creando totale scompiglio tra le fila dell'esercito avversario.

“[…] i soldati non poterono più ricostituire le proprie file, perciò fuggirono, dirigendosi verso la città, respingendo con vigore i nemici e non desistettero prima di essere circondati da ogni parte e la città fu conquistata solo dopo che tutti caddero nella varie sortite. Le perdite tra i soldati romani, tra i quali Labieno, furono da ambo le parti così elevate che i vincitori, non sapendo come sbarrare le uscite dalla città per impedire che di notte qualcuno fuggisse, ammucchiarono davanti ad esse i cadaveri dei nemici” (Ivi, XLIII, 38, 3-4).

La completa vittoria di Cesare e la pacificazione successiva della penisola Iberica segnarono l’eliminazione di ogni forza armata di opposizione ai progetti di Cesare, il quale tornò a Roma divenendo dictator.


(I passi sono tratti da: Cassio Dione, Storia Romana (a cura di Giuseppe Norcio), BUR, Milano 1995; Pseudo-Cesare, La lunga guerra civile (a cura di Luigi Loreto), BUR, Milano 2009).

️ ACCADDE OGGI ️

Il 15 marzo del 44 a.C., presso la Curia di Pompeo, luogo in cui si riuniva il Senato di Roma, veniva assassinato Gaio Giulio Cesare.

Politico raffinato e sottile, abile soprattutto nel piegare gli altri ai propri scopi, e legislatore dalle amplissime vedute, capace di elaborare nel tempo un programma di riforme paragonabile a quelli di Caio Gracco e di Silla; oratore di livello straordinario e scrittore dallo stile limpidissimo, ingegnere e riformatore del calendario, capace dunque di eccellere in qualsiasi cosa cui si applicasse, questo patrizio di antica schiatta era illuminato dalla rara scintilla del genio. Tale egli si rivelò anche nel campo dell’arte militare: oltre alla conquista della Gallia, durante le successive guerre civili i generali migliori di Roma furono schierati tutti contro di lui ed egli seppe superare il talento organizzativo di Pompeo e l’astuzia di Afranio, la rude tempra di Petreio e la maestria tattica di Labieno.

Furono probabilmente proprio i successi in Gallia e l’attrazione magnetica che egli sentì ben presto di esercitare sui propri soldati a spingerlo verso un’ambizione monarchica che, latente forse fino dalla giovinezza, era stata tuttavia controllata e riposta nella prima fase della sua carriera politica, tutta dedicata, in apparenza, a far trionfare la causa dei populares. Fu probabilmente solo alla vigilia della guerra civile che si manifestarono per la prima volta le mire di Cesare, volte in apparenza all’instaurazione di una sovranità forse di stampo ellenistico.

Come altri grandi prima di lui, egli fu tradito dalla presunzione della sua stessa intelligenza. Solo, fatale errore fu il non aver capito che quanto era evidente a lui stesso – omnem potentiam in unum conferri pacis interesse: che, per dirla con Tacito, giovava alla causa della pace attribuire ormai tutto il potere ad un solo uomo – non lo era alla massa dei cittadini romani e a buona parte della nobilitas senatoria.

Il suo nome riecheggia nella storia da più di 2000 anni e ancora riecheggerà forse per l’eternità. Lui è Gaius Iulius Caesar. L’uomo che cambiò Roma e la storia.

VOCI DI ROMA

ROMANI VS ALANI

“Alla testa dell'intera armata siano gli esploratori a cavallo, disposti su due colonne e con il loro proprio comandante. Dopo di essi gli arcieri Petrei a cavallo e a capo siano i decurioni; dopo di essi si dispongano quelli dell'ala di nome Auriani. Si dispongano insieme ad essi quelli della quarta coorte dei Rezi […]. Dopo di essi i cavalieri Celti, anch'essi su due colonne, sotto il comando di un centurione, lo stesso che all'accampamento.

Dopo di essi si dispongano i fanti, con le insegne levate davanti a loro, sia gli Italici sia i Cirenei presenti […], dopo di essi vadano i fanti Bosporani e poi i Numidi. La formazione abbia la larghezza di quattro opliti. Quanti fra essi sono arcieri vadano davanti. I rispettivi cavalieri guardino i fianchi. Dietro vadano i cavalieri scelti, dopo di questi i cavalieri della falange, poi le catapulte e quindi l'insegna della quindicesima falange (Legio XV Apollinaris) ed attorno ad essa il comandante, il comandante in seconda e i tribuni […]. Dopo essa si disponga il contingente alleato: quelli della Piccola Armenia, gli opliti dei Trapezunzi e i Colchi, poi i fanti Apuli […], dopo di essi seguano le salmerie e facciano da retroguardia l'ala dei Geti […].

Sia questo l'ordine di marcia e una volta giunti al luogo designato l'intero esercito si disponga in modo che la cavalleria formi un quadrato […]”.

(La descrizione continua con la lunga esposizione di tutti i componenti dello schieramento in ordine di battaglia, concludendosi con le possibili tattiche nel caso di un attacco nemico frontale o sui fianchi).

✍️ Arriano, Schieramento contro gli Alani, 1-11.

ACCADDE OGGI

L'11 marzo del 222 d.C. veniva assassinato l'Imperatore Sesto Vario Avito Bassiano, meglio noto col nome di Elagabalo.

Le circostanze della sua morte ci vengono narrate da Cassio Dione e soprattutto dalla Historia Augusta, fonte sempre prodiga di dettagli, sebbene Erodiano ci racconti come si arrivò a prendere la decisione di eliminare questo imperatore ormai avverso al popolo, al Senato e ai pretoriani.

Oltre al malgoverno esercitato fino a quel momento e ai comportamenti privati e religiosi del giovane imperatore, malvisti ai più, la situazione precipitò quando nel 221 d.C. Giulia Mesa, sua nonna, convinse il nipote a elevare al rango di Cesare il cugino Alessiano, il futuro Alessandro Severo, così che potesse dedicarsi soltanto all'aspetto religioso (Erodiano V, 7).

Col passare del tempo i rapporti tra i due si deteriorarono poiché Alessandro iniziò a godere dell'appoggio dei soldati, del Senato e del popolo. L'Imperatore cercò anche di farlo uccidere e, addirittura, di far annullare dal Senato la sua elezione a Cesare, non riuscendo nel suo intento e rischiando la propria vita (Erodiano V, 8).

In un clima ormai di guerra fredda l'Imperatore mise in giro la voce che il cugino era moribondo per vedere la reazione dei pretoriani, i quali, alla notizia, si ribellarono, pretendendo che entrambi si presentassero presso i castra pretoria. Ciò avvenne l'11 marzo del 222 e ad accompagnarli vi era anche Giulia Soemia, madre del giovane Imperatore; al loro arrivo i pretoriani iniziarono ad acclamare il loro favorito Alessandro, ignorando Elaogabalo, che ordinò allora l'arresto e l'esecuzione sommaria di coloro che sostenevano il cugino, con l'accusa di ribellione (Erodiano V, 8).

In risposta i pretoriani assalirono l'imperatore e poi sua madre, come ci viene appunto tramandato dalla Historia Augusta:


“[…] Dopo di che fu assalito lui pure e ucciso in una latrina in cui aveva cercato di rifugiarsi. Fu poi trascinato per le vie. Colmo di disonore, i soldati gettarono il cadavere in una fogna. Poiché però il caso volle che la cloaca risultasse troppo stretta per ricevere il corpo, lo buttarono giù dal ponte Emilio nel Tevere, con un peso legato addosso perché non riuscisse a galleggiare, di modo che non potesse aver mai a ricevere sepoltura. Prima di essere precipitato nel Tevere, il suo cadavere fu anche trascinato attraverso il Circo. […] E fu il solo fra tutti i principi ad essere trascinato, buttato in una cloaca ed infine precipitato nel Tevere”.

Riportiamo anche la testimonianza di Cassio Dione, il quale aggiunge la sorte toccata alla madre:


“Fece un tentativo di fuggire, e sarebbe riuscito a raggiungere un qualche luogo nascosto in una latrina, se non fosse stato scoperto e ucciso, all'età di diciotto anni. La madre, che lo abbracciò e lo strinse fortemente, morì con lui; le loro teste vennero staccate dal busto e i loro corpi, dopo essere stati denudati, furono prima trascinati per tutta la città e poi il corpo della madre fu gettato in un posto o in un altro, mentre il suo venne gettato nel fiume”.


(Il passo dell'Historia Augusta è tratto da: Scrittori dell'Historia Augusta, a cura di Leopoldo Agnes, UTET, Torino 1960;

Il passo di Cassio Dione è tratto da: Storia Romana, LXXX, 20, a cura di Alessandro Galimberti, BUR, Milano 2018.)


(Nell'immagine testa di Elagabalo, oggi conservata presso i Musei Capitolini di Roma).

ACCADDE OGGI


Il 19 febbraio del 197 d.C. Settimio Severo sconfiggeva il rivale Clodio Albino nella battaglia di Lugdunum, odierna Lione.

Stando ai resoconti degli storici antichi, ed in particolare di Cassio Dione, le due armate che si scontrarono erano composte da 150.000 soldati complessivi, con Clodio Albino che poteva disporre di circa 60.000 legionari e Settimio Severo che contava quindi su circa 90.000 uomini, in massima parte provenienti dal limes renano e danubiano.

“Da entrambe le parti c'erano centocinquantamila soldati ed erano presenti allo scontro ambedue i comandanti. Albino era superiore per nobiltà e per la formazione ricevuta, mentre il suo rivale prevaleva nella scienza militare e nell'arte di condurre un esercito” (Cassio Dione, Storia Romana, LXXVI, 6).


La battaglia ebbe inizio con una mossa a sorpresa di Severo che avanzò con l'ala destra per poi ripiegare, inseguito dalla cavalleria sarmata di Albino, attirandola in un'imboscata e distruggendola completamente. Dopo questo primo successo il sovrano guidò l'avanzata dell'ala sinistra, ma l'attacco non ebbe esito positivo.


Dopo due giorni di combattimenti incerti Giulio Leto, il comandante della cavalleria severiana, attaccò i fianchi delle legioni avversarie, sfondandone le linee. Sentendosi perduto, Clodio Albino preferì correre al proprio accampamento, per poi suicidarsi.

“Durante un combattimento in cui molti soldati di Clodio erano caduti, molti si erano dati alla fuga ed altri arresi, egli fuggì e poi, secondo alcuni, cercò di uccidersi con le proprie mani o, secondo altri, si fece trafiggere da un servo” (Historia Augusta, Vita di Clodio Albino, IX).


(Nell'immagine: rappresentazione contemporanea di Settimio Severo durante la battaglia di Lugdunum, tratta da Ancient Warfare Magazine)


(Il passo di Cassio Dione è tratto da: Cassio Dione, Storia Romana volume IX, (a cura di Alessandro Galimberti), BUR, Milano 2018.

Il passo dell'Historia Augusta è tratto da: Scrittori dell'Historia Augusta, (a cura di Leopoldo Agnes), UTET, Torino 1960).

VOCI DI ROMA

LA ROMA AUGUSTEA

“Realizzò numerosi monumenti pubblici. Tra questi ecco i principali: un foro con un tempio di Marte Vendicatore, un tempio di Apollo sul Palatino, un altro di Giove Tonante sul Campidoglio. Costruì un Foro perchè, data l'affluenza della folla e il numero dei processi, i due esistenti non erano più sufficienti e sembra ci fosse bisogno di un terzo; per questo ci si affrettò ad inaugurarlo, senza che fosse terminato il tempio di Marte e si stabilì che in esso fossero tenuti specialmente i processi pubblici e si facesse l'estrazione a sorte dei giudici.

Quanto al tempio di Marte aveva fatto voto di innalzarlo quando, con la battaglia di Filippi, si era vendicato dell'uccisione di Cesare; così stabilì che il Senato deliberasse in questo tempio tutto quanto si riferiva alle guerre e ai trionfi, che di qui partissero tutti coloro che si recevano nelle province con incarichi di comando e che quanti tornavano vincitori qui portassero le insegne dei loro trionfi.

Fece erigere il tempio di Apollo in quella parte della sua casa sul Palatino che, colpita dal fulmine, il dio aveva preteso per sè a mezzo degli aruspici; vi aggiunse un porticato con una biblioteca latina e greca, e qui, già vecchio ormai, riunì spesso il Senato e passò in rivista le decurie dei giudici”.


✍️Svetonio, Vite dei Cesari, Vita di Augusto, 29 (a cura di S. Lanciotti), Rizzoli, Milano 1982.

(Nell'immagine: ricostruzione grafica del Foro di Augusto)

ACCADDE OGGI


Il 12 febbraio del 41 d.C. nasceva a Roma Tiberio Claudio Cesare Germanico, meglio noto con il nome di Britannico, secondo figlio che l'imperatore Claudio ebbe dalla terza moglie Messalina.

Risulta molto difficile ricostruire la biografia di Britannico, a causa della carenza documentaria. La sua nascita è ricordata brevemente da Svetonio:

Ebbe dei figli tre delle sue mogli: da Urgulanilla, Druso e Claudia; da Petina Antonia; da Messalina Ottavia e un figlio al quale diede dapprima il nome di Germanico e poi quello di Britannico" (Svetonio, Vite dei Cesari, Claudio, 27).

Il bambino prese questo appellativo poichè due anni dopo la sua nascita, nel 43 d.C. fu conquistata la Britannia e il Senato offrì a Claudio il titolo onorifico “Britannico”; l'imperatore rifiutò di adottarlo ma lo concesse al figlio.

Il sovrano fu molto legato al nuovo figlio, come testimonia lo stesso Svetonio: “In quanto a Britannio, che era nato nel ventesimo giorno del suo principato, durante il suo secondo consolato, lo raccomandò sempre, fin da bambino, ai soldati, presentandolo a loro, riuniti a parlamento, tenuto nel cavo delle mani. E lo raccomandava anche al popolo, mettendoselo sulle ginocchia, o seduto davanti a lui durante gli spettacoli; e faceva continuamente i più fervidi voti per quel bambino, tra le acclamazioni della folla” (Svetonio, Ivi).


(Nell'immagine: stutua di Britannico da bambino, conservata nel Museo del Louvre a Parigi)


(I passi di Svetonio sono tratti da: Gaio Svetonio Tranquillo, I dodici Cesari, (A cura di Felice Dessì), BUR, Milano 1968).

ΑCCADDE OGGI


Il 20 gennaio del 225 nasceva a Roma Marco Antonio Gordiano Pio, meglio conosciuto con il nome di Gordiano III, che fu imperatore tra il 238 ed il 244 d.C.


Poche sono le fonti letterarie che riportano qualche dettaglio sulla biografia di questo sovrano e la più dettagliata (ma anche problematica) è la Vita dei Tre Gordiani, facente parte dell'Historia Augusta.


“Dopo la morte dei Gordiani il Senato romano, temendo vivamente la vendetta di Massimino, nominò Augusti Pupieno o Massimo e Clodio Balbino, ambedue consoli […] Contemporaneamente il popolo e l'esercito vollero che si desse il titolo di Cesare al giovane Gordiano, che aveva undici anni o tredici o al massimo sedici [In realtà la storiografia moderna ha appurato che il giovane aveva 14 anni]; lo portarono alla presenza del Senato, poi alla pubblica assemblea, lo rivestirono degli abiti imperiali e lo proclamarono Cesare.


Costui, secondo l'opinione comune sarebbe nato da una figlia di Gordiano il vecchio [versione confermata dagli storici odierni], mentre alcuni storici lo vogliono figlio del Gordiano secondo, morto in Africa. Nominato Cesare, continuò la sua eduzione presso la madre finchè, morti i Massimini e caduti Massimo e Balbino dopo due anni di impero durante una rivolta, ancor giovinetto fu proclamato Augusto [nel 238 d.C.]”. (Historia Augusta, Vita dei tre Gordiani, XXII)


(Nell'immagine: busto di Gordiano III coservato nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma)


(I passi dell'Historia Augusta sono tratti da: Scrittori della Storia Augusta, (a cura di Leopoldo Agnes), UTET, Torino 1960)

ACCADDE OGGI ️

Il 16 gennaio del 27 a.C., Gaio Giulio Cesare Ottaviano, ottiene dal senato il titolo di Augusto.

La notizia, raccontataci da Svetonio, si inserisce nel capitolo in cui l’autore sta descrivendo la giovinezza del futuro princeps ed è giusto riportare il passo integralmente, per mostrare un’altra curiosità poco nota su Ottaviano: il soprannome che ricevette da bambino.

“Da fanciullo gli avevano dato il soprannome di Turino, vuoi per ricordare la sua origine, vuoi perché nel territorio di Turi il padre Ottavio, poco tempo dopo la sua nascita, aveva sconfitto gli schiavi fuggitivi. Ho potuto constatare con certezza che Augusto venne chiamato Turino, perché ho posseduto una vecchia effige di bronzo che lo rappresenta fanciullo, con sopra scritto a lettere di ferro quasi cancellate, tale soprannome; ho regalato questa effige al nostro principe [ndr. l’imperatore Adriano], che la venera tra i suoi dei domestici. Anche Marco Antonio, per ingiuriarlo, nelle sue lettere lo chiama spesso Turino, e Augusto meravigliandosi si accontenta di rispondere: “Non vedo perché debba considerare un insulto il mio primo nome”.

In seguito assunse il cognome di Gaio Cesare e poi quello di Augusto. Il primo, in base al testamento del prozio, l’altro perché, mentre alcuni senatori erano del parere di attribuirgli quello di Romolo, quasi fosse stato il secondo fondatore di Roma, prevalse la proposta di Munazio Planco di chiamarlo invece Augusto, non tanto per attribuirgli un nome che non era mai stato usato prima, quanto per il significato onorifico di quella parola. Infatti si chiamano “Augusti” i luoghi consacrati dalla religione, sia che questa parola derivi da aucta [accrescimento], sia che derivi da avium gestu o da gustu [parole usate per indicare i presagi che gli uccelli danno con il loro volo e il loro cibarsi], come ci ricorda questo verso di Ennio:

“Dopo che Roma fu eretta con inclito presagio Augusto”.

(Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, VII)


(Nell’immagine: Busto di Augusto conservato al Museo del Louvre di Parigi)


I passi sono tratti da: Svetonio, I dodici Cesari e gli uomini illustri, (a cura di Felice Dessì), BUR, Milano 1968).

VOCI DI ROMA

L'EMPIO COSTANTINO

“Tutto il potere era nelle mani del solo Costantino, che non celava più la sua natura malvagia, ma si abbandonava a ogni sorta di licenza. Celebrava ancora le cerimonie tradizionali, non per ossequio, ma per interesse. Quando giunse a Roma, pieno di arroganza, pensò che bisognava dare prova di empietà cominciando dalla famiglia. Senza tenere in alcun conto le leggi naturali, ucciso infatti il figlio Crispo, sospettato di avere uan relazione con la matrigna Fausta. Poiché Elena, la madre di Costantino, era indignata per un simile gesto e riteneva insopportabile l'assassinio del giovane, Costantino, quasi per consolarla, cercò di rimediare al male commesso con un male più grande ancora. Infatti ordinò di riscaldare un bagno oltre la temperatura normale e, immersa Fausta, la tirò fuori quando ormai era cadavere. Consapevole di questi crimini si presentava ai sacerdoti chiedendo loro sacrifici espiatori per le proprie colpe, ma poiché essi rispondevano che nessuna purificazione era in grado di cancellare simili empietà, un egiziano, giunto a Roma dall'Iberia ed entrato in familiarità con le donne di corte, incontratosi con Costantino gli assicurò che la religione cristiana annullava qualsiasi colpa e conteneva in sé anche questa promessa, di liberare subito da ogni peccato gli empi che la praticavano. Costantino fu assai pronto ad accogliere le sue parole: trascurando i riti tradizionali e partecipando invece a quelli proposti dall'egiziano, cominciò a nutrire sospetti verso la divinazione. E quando venne il momento della festa tradizionale [i decennalia], nel corso della quale l'esercito doveva salire sul Campidoglio e celebrare i soliti riti, egli per paura dei soldati partecipò alla festa, ma l'egiziano gli mandò una visione che condannava senza riserve l'ascesa al Campidoglio e allora si tenne lontano dalla cerimonia sacra e si attirò l'odio del Senato e del popolo”.


✍️ Zosimo, II, 29, 1-5 (traduzione a cura di Fabrizio Conca), BUR, Milano 2007.

ACCADDE OGGI

Il 15 dicembre del 37 d.C. nacque Lucio Domizio Enobarbo, meglio conosciuto come Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, titolatura che adottò quando divenne Imperatore nel 54 d.C..

Gli scrittori antichi, come Svetonio o Tacito, ci hanno tramandato un'immagine molto negativa di questo imperatore, in parte riabilitato da studi più recenti, e ne è prova già la descrizione della sua nascita da parte di Svetonio, il quale, all'inizio del libro VI, scrive:

“Ritengo necessario rendere noti molti membri di questa famiglia [gli Enobarbi della gens Domizia], perché sia più evidente che Nerone fu assolutamente degenere rispetto alle virtù dei suoi antenati e tuttavia riprodusse i vizi di ciascuno di essi, quasi trasmessi a lui geneticamente”.

Svetonio risulta ancora più esplicito riguardo il suo giudizio su Nerone poco più avanti:

“Nerone nacque ad Anzio nove mesi dopo la morte di Tiberio, il 15 dicembre poco prima dell'alba, sì che quasi fu toccato dai raggi del sole prima che dalla terra stessa.

Mentre in molti traevano vari segni infausti dalla sua nascita, fu di presagio anche la frase del padre Domizio che, mentre gli amici si congratulavano con lui, aveva affermato che «da lui e da Agrippina non era potuto nascere che qualcosa di abominevole e di pernicioso per tutti».”


(I passi sono tratti da Svetonio, Nero., 1, 6, traduzione a cura di Francesco Casorati, Newton Compton, Roma 2010).


(Nell'immagine busto di Nerone, conservato presso i Musei Capitolini a Roma).

ACCADDE OGGI

Il 7 dicembre del 43 a.C. trovò la morte Marco Tullio Cicerone, a causa della sua ostinata ostilità e i continui attacchi contro Marco Antonio.

Certamente a conoscenza del piano dei Cesaricidi, divenne subito dopo le idi di marzo uno dei personaggi di spicco della fazione degli ottimati, contrapponendosi ad Antonio, il quale volle riprendere e fare propri i progetti politici di Cesare. In questo contesto il giovanissimo Ottaviano diede al vecchio consolare l'illusione di poter essere manovrato e indotto a divenire uno strumento al servizio del Senato; mentre, viceversa, non aveva forse in mente fin dall'inizio che la vendetta del padre adottivo e soprattutto la personale ascesa verso il potere.

Dopo i noti fatti degli anni 44 e 43 a.C., in cui Antonio e Ottaviano si scontrarono, vi fu infine la spartizione dei domini di Roma tra i tre triumviri (Ottaviano, Antonio e Lepido) e gli stessi decisero di far tacere ogni residua opposizione interna e procurarsi anche i fondi necessari all'imminente campagna contro l'Oriente in mano agli assassini di Cesare (vd. Appiano, Le guerre civili, IV, 5-6, 8-11).

Fu così che fecero la loro comparsa le liste di proscrizione, forse tra le più atroci, che costarono la vita a 300 senatori e forse 2 mila equites, tra cui appunto il grande oratore e politico Cicerone.


“E dopo che, avendo trovato le porte chiuse a chiave, le ebbero sfondate, poiché Cicerone non si vedeva e quelli che stavano dentro affermavano di non sapere dove fosse, si dice che un ragazzo di nome Filologo, educato da Cicerone nelle lettere liberali e nelle scienze e liberto di suo fratello Quinto, abbia indicato al tribuno la lettiga che veniva trasportata verso il mare attraverso i viali alberati e ombrosi. Il tribuno dunque, avendo preso con sé pochi correva verso l'uscita, mentre Cicerone si accorse che Erennio avanzava di corsa attraverso i viali e ordinò ai servi di deporre lì la lettiga. Ed egli, come era solito, toccandosi le guance con la mano sinistra, impassibilmente rivolse lo sguardo ai sicari, ricoperto dal sudore e dalla capigliatura e disfatto nel volto dalle preoccupazioni, tanto che i più si coprirono il volto mentre Erennio lo uccideva. Fu ucciso mentre sporgeva il collo dalla lettiga, quando quello che trascorreva era il suo sessantaquattresimo anno. E, per ordine di Antonio, tagliarono la sua testa e le sue mani, con le quali aveva scritto le Filippiche”.


(Il passo è tratto da Plutarco, Vita di Cicerone, 48, 2-5, traduzione a cura di Antonio Traglia, UTET, Torino 2013).


(Nell'immagine busto di Cicerone, esposto presso i Musei Capitolini a Roma).

–––––––––––

Scopri di più su:

www.antiquitatesromanae.com

“Parcere subiectis et debellare superbos”.

Re sottomessi al potere di Roma, eppure spine nel fianco temibili nel momento del bisogno. Re amici del popolo romano con sogni di gloria. Regine potentissime ai confini dell'Impero.


ROMA E I REGNI CLIENTI: ARCHELAO E PITODORIDE


Articolo di Giuseppe Giordano

21 APRILE 753 a.C. - ROMAE DIES NATALIS

In questo giorno meraviglioso nacque Roma.

In principio una Città piena di timore.

I nemici la circondavano in ogni dove.

NULLA assicurava la sua sopravvivenza. Da questa Città, generazione dopo generazione, nacque una Civiltà che oggi vive attraverso noi.

Una tomba modesta di un Africano, ucciso nel 238 d. C., dice di più sul successo di Roma che un lungo discorso.

Vi si può leggere difatti: “Morì per amore di Roma”.

VOCI DI ROMA

CATONE E IL VINO DI MIRTO

“Così si fa il vino di mirto. Secca all'ombra le bacche di mirto nero. Dove siano già appassite, conservale per il tempo della vendemmia. Allora pesta mezzo moggio di queste bacche, mettile in un'urna di mosto e chiudila. Quando poi il mosto avrà finito di bollire, leverai via le bacche.

Questo vino giova a chi soffra di dolore alle costole, coliche ed indigestione”.

✍️ Catone, Liber de agri cultura, 125 (a cura di Francesco Ventura), Ventura Editore, Reggio Calabria 2012.

loading