#pastori

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“ Le varie amministrazioni comunali ingaggiarono apposite squadre anticavallette che durante l’estate battevano ed animavano le campagne. Il loro intervento, però, anche se tempestivo, si rivelò inefficace sin dall’inizio. Era sempre un intervento localizzato come quello dei teloni dei pastori. Si trattava infatti di squadre fornite di lanciafiamme a benzina da usare sui punti dove le cavallette si ammassavano. Ma le uova che la terra conteneva e fecondava erano inesauribili e nonostante i campi fossero ridotti a piazzuole nere e sparse di roghi, continuamente, il giorno successivo erano sempre zeppi di nuove locuste più affamate, giunte in volo o sbucate dalla terra.
La stessa cosa accadde più tardi con la «crusca avvelenata» che i pastori erano obbligati a spargere per il proprio campo, ma sempre in maniera localizzata. Succedeva che la benzina si esauriva, la crusca avvelenata finiva, ma le cavallette aumentavano sempre quasi per incanto. Calavano dal cielo o spuntavano dal suolo, dalle uova dell’anno precedente.
Il loro ciclo vitale durava da maggio a luglio. Ma quanta strage. Negli ultimi giorni della loro vita covavano nel suolo, crivellandolo letteralmente con il loro culo acuminato per deporvi le uova. Io osservavo questa operazione con curiosità. La femmina si disponeva in un punto del terreno (duro e possibilmente solido). Lentamente con il culo appuntito cercava di far breccia sforzandosi sulle zampe. Una volta che il suo culo era indirizzato verso il suolo, quattro compagni le si affiancavano e la sorreggevano ritta dirigendola e spingendola verso il basso perché la coda penetrasse più profondamente possibile. Così sorretta, con il culo allungato dallo sforzo e per metà sprofondato nella terra, secerneva dei succhi e in breve fabbricava una specie di capsula impenetrabile all’acqua invernale e al freddo comune e vi deponeva le uova senza mai muoversi. Finita questa operazione, i compagni che avevano solo il compito di spingere e sorreggere la femmina mentre avveniva la deposizione delle uova, si allontanavano uno alla volta lasciando che la femmina completasse il proprio compito.
Lungo i sentieri quando passavo con il gregge dietro il suo nembo di polvere, io potevo osservare l’ultima operazione delle cavallette prima che morissero. Ai lati del sentiero o dove si passava, questi gruppi a cinque si sperdevano a vista d’occhio. Qualcuno, anzi, lo segnalavo per rivedermelo a due o tre ore di distanza. Quando ci ripassavo potevo notare che il culo della femmina, ben sorretta dai compagni, era sprofondato sempre di più. Spesso il gruppo lo trovavo già disciolto. Qualche volta mi divertivo a scavare per estrarre la capsula delle uova, e spesso a schiacciare questi gruppi in azione finché non mi stancavo.
Un’operazione più efficace venne però nel ‘46 tramite l’irrorazione periodica dei pascoli, a rotazione, con l’arsenico. I pascoli venivano completamente avvelenati più volte, a turno e per contrade, in tutto il territorio del comune (a cussosas, in s’aidattone), in modo da consentire ai pastori di sfamare il proprio gregge senza che corresse il rischio di morire avvelenato. I chiusi divenivano pascolabili dopo una leggera pioggia o dopo un determinato periodo. Il veleno era potente. Terribile. Nessuna cavalletta che si trovasse sul campo o vi sopraggiungesse in volo o vi sgusciasse dalle capsule poteva sopravvivere. Finalmente la campagna a poco a poco cambiò aspetto al punto da sembrare un campo nevicato da una grandine vulcanica e rossiccia. Da una «neve» di insetti morti e bruciati dal veleno, che non ondulava né giocava più il terreno nell’orgia della sua danza famelica. “

Gavino Ledda,Padre padrone, Rizzoli (collana Piccola Biblioteca La Scala), 2004; pp. 63-65.

[ 1ª edizione: Padre padrone.L’educazione di un pastore, (collana Franchi Narratori n° 19) Feltrinelli, Milano, 1975 ]

Tratto dal libro “Montesilvano nella storia ambientale e socio-antropologica dell'Abruzzo dalle origini alla metà del 1900” di Osvaldo Galli

L'origine del nome Montesilvano:

Che il nome del nostro territorio derivasse da <<selva>> non ci aveva mai convinto per due motivi di fondo: non veniva data nessuna spiegazione del nome Monte, non era accettabile, per quanto riguarda l'origine del nome Silvano, l'ipotesi della presenza di dense selve, tanti da lasciarne il nome soltanto sulle colline di Silvi e di Montesilvano, dato che tutta la fascia costiera medio- adriatica ebbe contemporanea origine geologica e identica struttura di argille e sabbie.

Inoltre, se il nome fosse stato tratto veramente dalle selve, esso avrebbe dovuto essere silvarius, non silvanus.

…nel mondo italico il Silvano dio dei pastori fu inizialmente visto come satiro, come dio della natura selvaggia

… nei millenni esso subisce, gradualmente, un notevole ingentilimento, passando da divinità temibile a pacifico dio agreste.

…il nome Silvano ha dunque origine assai remota ed è connesso con l'attività pastorale.

Ugualmente interessante la storia del nome <<monte>>, che va collegato pure esso alla divinità e precisamente alla presenza delle ninfe delle selve e dei prati.

Queste ninfe erano dalle popolazioni (e specialmente dai pastori) immaginate annidarsi là dove più folta era la vegetazione, dove cioè la loro fantasia animatrice poneva la presenza delle Bereginjie

… orbene, il latino <<mons>> corrisponde al nome béreg, berg, brig, ecc. delle altre lingue indoeuropee.

il vocabolo monte equivale quindi alla parola ninfa o, che è lo stesso, alle piantine germoglianti per volontà delle ninfe.

Ciò che porta alla stessa conclusione: per i greggi era indispensabile l'erba, per la cui rigenerazione annuale i pastori pregavano e compivano riti religiosi in onore delle Bereginjie, queste essenze divine immaginate capaci di far germogliare erbe, piante e piantine.

… noi opiniamo di aver raggiunto la dimostrazione sull'origine del doppio nome Monte- Silvano: il primo, terra di pascolo, il secondo simboleggiante la divinità protettrice dei greggi e dei pastori.

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