#povertà

LIVE

AI RAGAZZI DI BARBIANA ALL’ESTERO

[Ormai i ragazzi che d’estate andavano all’estero erano molti, e il Priore non poteva scrivere più tutti i giorni una lettera a ognuno. Allora cominciò a scrivere una lettera uguale per tutti. Il titolo, scherzoso, è di don Lorenzo.]

Lettera circolare della repubblica di Barbiana a tutti i suoi rappresentanti diplomatici all’estero. Loro sedi.
Barbiana, 5.7.1965.

“ Cari,
ieri sera ero, come sempre la domenica, stanco e circondato da ospiti e avevo appena il fiato per scrivere a uno di voi, ma non sapendo a chi scrivere non ho scritto a nessuno. Così oggi ho pensato di rimediare con una circolare.
Sabato eravamo in piena Inghilterra anche a Barbiana, e quacchera per giunta. Son arrivati quattro quaccheri qualunque quasi curiosi e pieni di cuore. Due maschi e due mogli. Li abbiamo tenuti a tavola e poi portati nel fosso¹ e interrogati sulla loro religione. Abbiamo tentato di capire di che si tratta in pratica, perché di che si trattasse in teoria l’avevamo già studiato la mattina alla voce quaccheridella Treccani.
Il fondamento della loro riunione è il silenzio. Se poi a qualcuno pare di essere tra i mossi a parlare, si alza e tutti lo ascoltano anche se è uno studentello presuntuoso o una vecchia zitella insopportabile perché in ognuno c’è un that (qualcosa) di Dio. Evidentemente è una religione d’élite perché ognuno deve avere la capacità di parlare in pubblico e di sopportare le altrui fregnacce.
Hanno detto che, appena in Inghilterra, sarà facile per loro trovare delle case dove Silvano e il Biondo² possano entrare come ospiti non paganti. Così ho pensato che li farò partire a settembre. Non ha invece risposto la vedova maestra e quacchera che dovrà ospitare il Buti. E ha risposto un po’ inviperito D.P. che essendosi accorto che avevamo mandato diverse richieste eguali a diverse persone in Inghilterra si lamenta che così si fa perdere tempo alla gente e che certamente si sovrapporranno le offerte. Non sa che ne abbiamo mandate 32 e che ciò nonostante sono state appena appena sufficienti per sistemarne un paio.
Stamane sono venuti i genitori Turchi a riportare Mauro che era scappato ieri per non sapere o non volere rendere ragione delle 35 mila lire con le quali l’ho mandato a Roma insieme al selvatico³ (per chi non lo sapesse è quel ragazzo che incontrai in macchina). Il selvatico stesso invece non si è più fatto vedere. Pare proprio che ne abbiano combinato una. Il Turchi padre rimproverava calmo il bambino in mia presenza e tentava di fargli dire come li aveva spesi; quando però ha saputo che ieri Mauro rispondeva « So una sega io come li ho spesi », allora il povero padre straziato si è messo a piangere perché non aveva mai pensato che il frutto delle sue viscere potesse usare così orribili parole. Non si riesce mai a indovinare quale sarà la mancanza che strazierà i genitori e quale quella che li inorgoglirà d’avere un figliolo galletto. ”

¹ Posto all’ombra dove si faceva scuola d’estate nelle ore più calde.
² Ragazzi della scuola.
³ Mauro e il « selvatico » erano due ragazzi di Vicchio di 13 e 14 anni che venivano da poco a scuola a Barbiana. Tutti e due non avevano mai viaggiato in treno né erano mai usciti da Vicchio. Così, dopo aver passato un mese intero a studiarsi tutte le specie di animali dello zoo, furono mandati da soli per qualche giorno a Roma con 35 mila lire. Al ritorno non vollero spiegare come avevano speso la somma.

———

Brano tratto da:

Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Milano, A. Mondadori (collana Oscar n° 431), 1976 [1ª Edizione: 1970]; pp. 201-202.

“ Le varie amministrazioni comunali ingaggiarono apposite squadre anticavallette che durante l’estate battevano ed animavano le campagne. Il loro intervento, però, anche se tempestivo, si rivelò inefficace sin dall’inizio. Era sempre un intervento localizzato come quello dei teloni dei pastori. Si trattava infatti di squadre fornite di lanciafiamme a benzina da usare sui punti dove le cavallette si ammassavano. Ma le uova che la terra conteneva e fecondava erano inesauribili e nonostante i campi fossero ridotti a piazzuole nere e sparse di roghi, continuamente, il giorno successivo erano sempre zeppi di nuove locuste più affamate, giunte in volo o sbucate dalla terra.
La stessa cosa accadde più tardi con la «crusca avvelenata» che i pastori erano obbligati a spargere per il proprio campo, ma sempre in maniera localizzata. Succedeva che la benzina si esauriva, la crusca avvelenata finiva, ma le cavallette aumentavano sempre quasi per incanto. Calavano dal cielo o spuntavano dal suolo, dalle uova dell’anno precedente.
Il loro ciclo vitale durava da maggio a luglio. Ma quanta strage. Negli ultimi giorni della loro vita covavano nel suolo, crivellandolo letteralmente con il loro culo acuminato per deporvi le uova. Io osservavo questa operazione con curiosità. La femmina si disponeva in un punto del terreno (duro e possibilmente solido). Lentamente con il culo appuntito cercava di far breccia sforzandosi sulle zampe. Una volta che il suo culo era indirizzato verso il suolo, quattro compagni le si affiancavano e la sorreggevano ritta dirigendola e spingendola verso il basso perché la coda penetrasse più profondamente possibile. Così sorretta, con il culo allungato dallo sforzo e per metà sprofondato nella terra, secerneva dei succhi e in breve fabbricava una specie di capsula impenetrabile all’acqua invernale e al freddo comune e vi deponeva le uova senza mai muoversi. Finita questa operazione, i compagni che avevano solo il compito di spingere e sorreggere la femmina mentre avveniva la deposizione delle uova, si allontanavano uno alla volta lasciando che la femmina completasse il proprio compito.
Lungo i sentieri quando passavo con il gregge dietro il suo nembo di polvere, io potevo osservare l’ultima operazione delle cavallette prima che morissero. Ai lati del sentiero o dove si passava, questi gruppi a cinque si sperdevano a vista d’occhio. Qualcuno, anzi, lo segnalavo per rivedermelo a due o tre ore di distanza. Quando ci ripassavo potevo notare che il culo della femmina, ben sorretta dai compagni, era sprofondato sempre di più. Spesso il gruppo lo trovavo già disciolto. Qualche volta mi divertivo a scavare per estrarre la capsula delle uova, e spesso a schiacciare questi gruppi in azione finché non mi stancavo.
Un’operazione più efficace venne però nel ‘46 tramite l’irrorazione periodica dei pascoli, a rotazione, con l’arsenico. I pascoli venivano completamente avvelenati più volte, a turno e per contrade, in tutto il territorio del comune (a cussosas, in s’aidattone), in modo da consentire ai pastori di sfamare il proprio gregge senza che corresse il rischio di morire avvelenato. I chiusi divenivano pascolabili dopo una leggera pioggia o dopo un determinato periodo. Il veleno era potente. Terribile. Nessuna cavalletta che si trovasse sul campo o vi sopraggiungesse in volo o vi sgusciasse dalle capsule poteva sopravvivere. Finalmente la campagna a poco a poco cambiò aspetto al punto da sembrare un campo nevicato da una grandine vulcanica e rossiccia. Da una «neve» di insetti morti e bruciati dal veleno, che non ondulava né giocava più il terreno nell’orgia della sua danza famelica. “

Gavino Ledda,Padre padrone, Rizzoli (collana Piccola Biblioteca La Scala), 2004; pp. 63-65.

[ 1ª edizione: Padre padrone.L’educazione di un pastore, (collana Franchi Narratori n° 19) Feltrinelli, Milano, 1975 ]

image

In “Una stanza tutta per sé”, Virginia Woolf rintraccia la storia delle donne artiste, in particolare scrittrici e poetesse, cercando di capire cosa serva ad una donna per essere una artista a tutto tondo.

Sconvolgente è il fatto che delle donne non si sappia nulla prima del Settecento.

Amavano? Come trascorrevano il tempo libero? Ce l’avevano del tempo libero? A cosa pensavano? Come vivevano? Ce l’avevano questa tanta rinomata stanza per sé?

A quanto pare non sappiamo niente di tutto ciò, non ci è arrivata nessuna testimonianza, negli archivi storici non abbiamo niente se non delle leggi che impongono alla donna il ruolo di una proprietà di un uomo all’interno della famiglia, che sia il padre, il marito o il fratello.

Eppure viene naturale chiedersi come molti protagonisti di grandi opere siano di sesso femminile, e non solo, svolgono un ruolo cruciale nella narrazione, la loro importanza è pari a quella dell’uomo, anzi, è maggiore.

Abbiamo protagoniste come Antigone, Fedra, Cleopatra, Lady Macbeth, Madame Bovary, Anna Karenina…

Ma quella è la donna della letteratura. 

Nella realtà veniva picchiata, maltrattata.

E da cosa nasce così tanta rabbia verso le donne nel corso della storia?

Per Virginia Woolf la risposta è semplice: nello stesso modo in cui i ricchi spesso si arrabbiano con i poveri perché sospettano che essi vogliano impadronirsi della loro ricchezza, i patriarchi, coloro che affermano l’inferiorità della donna, in realtà si sentono minacciati dalla sua superiorità.

Ma c’è anche un’altra ragione meno evidente: forse i patriarchi non sono arrabbiati, ma semplicemente sono pieni di ammirazione e devozioni per la donna.

Così la donna diventa lo specchio che riflette la figura dell’uomo, ed è proprio per questo motivo che Napoleone e Mussolini insistevano tanto nell’inferiorità della donna, era l’unica possibilità che avevano per ingrandire se stessi.

Eppure sia per un uomo che per una donna la vita è ugualmente difficile.

Soprattutto quando cercano di reprimere un grande genio dentro di loro.

Specialmente durante gli anni creativi della loro giovinezza, lo scrittore come ogni altro artista ingegnoso, deve sopportare ogni sorta di distrazione e scoraggiamento proveniente dal mondo esterno. 

Ma per la donna tutte queste difficoltà erano ( e purtroppo ancora oggi in certi casi lo sono ancora) innumerabili.

Aggiungiamo anche tutti i diritti che le sono stati tolti e non le rimane più nulla.

Il denaro non le apparteneva, era privata da ogni tipo di consolazione come un viaggio, un’escursione, una semplice passeggiata.

Ma l’uomo non era privato da tutto ciò!

Come dice lo stesso Flauber in Madame Bovary (da sottolineare che è stato scritto da un uomo!):  “ Un uomo, almeno, è libero, può andare attraverso passioni e paesi, superare gli ostacoli, aspirare alle più inattingibili felicità. Una donna, no: una donna è continuamente impedita. Inerte e flessibile nello stesso tempo, ha contro di sé le debolezze della carne e le ingiunzioni della legge. La sua volontà, come la veletta del suo cappellino, palpita a tutti i venti, ma è trattenuta da un nastro. C'è sempre un desiderio che la trascina, una regola sociale che la trattiene!”.

Alla donna non viene data la possibilità di fare esperienza, osservare il mondo, trovare personaggi per le sue storie!

Se Tolstoj avesse vissuto rinchiuso in una casa, tagliato fuori dal mondo, difficilmente avrebbe potuto scrivere la sua più grande opera Guerra e Pace.

E come poteva fare qualcosa del genere senza un po’ di libertà materiale?

Solo nel 1800 si arriverà alla donna scrittrice che scrive come una donna, non come un uomo, con Jane Austen e Emily Bronte.

Entrambe scrivono di donne, e per la prima volta sono le donne a scrivere la loro storia e non gli uomini!

I loro libri saranno scritti con rabbia, entrambe le scrittrici sono in guerra con il loro destino, cercano di ribellarsi, eppure non possono nascondere le ingiustizie che hanno provato come donne! 

In conclusione, Virginia Woolf vuole disfare il mito dell’artista senza soldi: l’effetto della povertà e della ricchezza sulla mente sono fattori cruciali.

Il consiglio che dà a tutte le giovani scrittrici è chevi servono cinquecento sterline l’anno e una stanza con la serratura alla porta. 

Le cinquecento sterline l’anno rappresentano la possibilità di contemplare, la serratura della porta invece la facoltà di pensare per contro proprio

Perchè come dice Virginia Woolf: “La libertà intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende dalla libertà intellettuale.”

Dovremmo lottare per questo, per la libertà intellettuale!

loading