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“ Si restava cristiani perché conveniva, ma invero, quanto al miracolo, alla resurrezione… stendiamo un velo pudico su queste ingenuità.
Nondimeno bisognava pure far finta di crederci, perché uno dei tanti vantaggi del cristianesimo era quello di sviluppare lo spirito di obbedienza tra i poveri ed i subordinati: «che il povero si glorifichi della sua umiliazione, (che comodità per chi lo sfrutta!), sottomettetevi». È Dio che lo dice, la religione è un pilastro dell'ordine sociale. Inutile insistere su questi temi oggi ben noti. È proprio vero che la borghesia ha fatto della religione quello che Marx le imputò di averne fatto. L’analisi è inconfutabile, l’alienazione spirituale si unisce necessariamente a quella economica. Il cristianesimo era uno strumento di governo ulteriore, ma era necessario renderlo utilizzabile ed adatto a un tale servizio. Credere in Dio è bene per i poveri, i negri e i fanciulli. «Dio è il punto d’appoggio su cui applicare la mia leva per farli muovere».
Ma tutto questo presuppone appunto che Dio non esista. Se esiste, non posso strumentalizzarlo. Per rendere socialmente utile la religione, cosa che la borghesia ha fatto in modo magistrale, occorre che l’ente cui questa religione si indirizza sia qualcosa di inerte, senza nessun genere di autonomia. Sono io che creo Dio perché Dio trovi posto nella mia scacchiera: assai utile l’Alfiere, ma è la mia mano che lo sposta. E, di conseguenza, la religione diventa puro formalismo: liturgia, teologia, morale, vita, tutto deve essere reso formale, diventare cerimonia, astrazione, contabilità, calcolo.
L’ateismo radicale del borghese non è il rozzo machiavellismo a cui l’hanno ridotto i nostri spregiudicati moderni. Esso è legato alla sua potenza demiurgica: impossibile rimodellare il mondo senza essere del tutto affrancati dal peso di Dio. E questo borghese lo è. Sa di essere il solo capace di tale nuova creazione, e non chiede aiuto. Strano destino del borghese, questo, di servire da modello per chi più lo detesta. Quando Nietzsche, spregiatore instancabile del borghese, preannunzia l’avvento di un al di là dell'uomo sotto l’aspetto del superuomo, di chi fa il ritratto, se non di quello che è già stato il borghese? Colui che non cessava di combattere gli aveva inoculato il virus di una certa visione del mondo culminante nell'esaltazione oltre ogni limite dell'uomo senza vincoli: e tale era nella sua segreta duplicazione perfettamente mascherata, perfettamente ingannevole, il suo nemico portato al parossismo; e solo perché il borghese aveva ibernato, cristallizzato Dio, Nietzsche poteva, dopo di lui, proclamarne la morte. “

Jacques Ellul,Metamorfosi del Borghese, traduzione a cura di Eugenio Ripepe, casa editrice Giuffrè (collana Valori politici n° 13), 1972.

[Edizione originale: Métamorphose du bourgeois, Paris, Calmann-Lévy, 1967]

“ [M]entre attaccavamo i cavalli per tornare a casa, mio padre vide un vecchio negro che se ne veniva via a piedi dal combattimento, strascinando le ciabatte in mezzo alla polvere, e lo guardò bene e poi gli disse, ehi, zio, ma tu non sei il Ned di Martin?, e quello si tolse il cappello e disse, sissignore, sono proprio io, e mio padre gli disse, sei stato a vedere il combattimento, eh?, e quello disse, sissignore, e mio padre disse, ma ai vostri tempi c’era di meglio, eh?, e quello sorrise, con una bocca sdentata, e disse, sì, signore, noialtri eravamo meglio, ma cosa farci?, il mondo va sempre peggiorando, e mio padre disse, parole sante, Ned, e arrivederci, e mentre tornavamo a casa mio padre mi disse che quello era stato uno dei più forti lottatori dei vecchi tempi, e aveva fatto guadagnare al suo padrone dei bei dollari, e anche lui se n’era messi da parte un bel po’ con le scommesse, proprio così, che per un negro si poteva dire che stava bene, con quel che aveva guadagnato; già, già, disse mio padre, e io vedevo benissimo che s’era perso nei ricordi, era uno dei più forti, e che stallone, anche!, sogghignò; e io ne approfittai che non c’era lì mia madre, perché lei non gli avrebbe mai lasciato fare quei discorsi, e gli dissi, come sarebbe a dire, eh, papà?, e lui mi guardò e tacque, e poi disse, oh, be’, tanto non c’è niente che tu non possa sapere, e mi raccontò che era grazie a Ned che il vecchio Ebenezer Byrd aveva impregnato per la prima volta quella negra che s’era comprato per far razza; appena gli era entrata in casa, era andato da Sam Martin, perché quello lì era un suo negro, e per questo lo chiamavano il Ned di Martin, ed era il più forte lottatore della contea, e lui convinse Sam Martin a darglielo in affitto per un mese, e ogni notte lo chiudeva con la negra, e con tutto che il Ned di Martin era sposato e al principio aveva detto al suo padrone che lui non ne voleva sapere, be’, di lì a nove mesi quella negra mise al mondo due gemelli, e il vecchio Ebenezer e sua moglie, raccontava mio padre, erano fuori di sé dalla gioia, e si facevano in quattro per dare alla negra tutto quello che voleva, purché avesse abbastanza latte e i bambini crescessero sani; e uno poi crepò quasi subito, ma l’altro visse, e da lì cominciò la loro fortuna. “

Alessandro Barbero,Alabama, Sellerio (Collana La memoria n° 1195), Palermo, 2021¹; pp. 228-30.

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