Sono andata a visitare i luoghi della Ravenna industriale dipinta da Antonioni nel film “Il deserto rosso” e devo dire che ne sono rimasta folgorata. Il posto in sé non è affatto bello, è vuoto, malinconico, così silenzioso nella sua confusione, che fa veramente venire male ai capelli. Osservandolo anche solo da lontano ho capito subito il perché di questo titolo così ambiguo e astratto: induce a riflettere, quel deserto. La suggestione dell'essere lì più di 50 anni dopo mi fa percepire nell'aria la stessa malinconia di allora, ma forse è solo la mia di malinconia, che tende a propagarsi nel vuoto per sentirsi meno sola. O forse è Antonioni stesso che ha capito che certi sentimenti, certi stati d'animo sono trasversali a ogni uomo e vanno oltre lo spazio e il tempo, oltre la realtà e la finzione. Si riesce persino a udire l'eco della voce di Monica Vitti alias Giuliana, che ripete incessantemente di essere sempre stanca, anzi non sempre…qualche volta, e che non sa cosa debbano guardare i suoi occhi perché sono sempre bagnati. Ma forse anche questa è suggestione. Che poi alla fine è vero, “ti prendi la storia che vuoi, ogni tanto fai finire la tua storia come vuoi e poi ritorni a casa”, ma sei solo tu a tornare a casa perché la tua storia resterà lì, per sempre, intatta tra il fumo delle torri hamon. Perché come ci insegna Quevedo “il fuggevole sta, rimane e dura”.
Finita la guerra, scoppiò il dopoguerra. E l'idea che gli anni successivi al conflitto mondiale rappresentarono una continuazione “fredda” della guerra civile, cui i protagonisti di “C'eravamo tanto amati” avevano partecipato, è l'essenza del capolavoro senza tempo di Ettore Scola. Un'opera marchiata da un'ambizione sfrenata, da una spericolatezza narrativa senza precedenti per la nostra commedia, una pellicola in cui, attraverso trent'anni di vita pubblica e privata, il regista racconta la vacuità di quei valori “di unità” che avevano caratterizzato la Resistenza. La particolarità di questo film è senza dubbio lo straordinario assemblaggio di parecchi elementi contraddittori che, a loro modo, hanno dato il proprio contributo alla storia del cinema italiano. Dal neorealismo di De Sica, alla critica ironica e beffarda nei confronti della televisione. Dall'incomunicabilità di Antonioni, al realismo magico di Fellini. Un capolavoro.