#cinema italiano

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Un grande fumettista, un regista emergente, quattro racconti che han cresciuto una generazione. I disegni di Andrea Pazienza sono un inno giovanile, un ricordo di un movimento immobile, denuncia di un’inerzia mentale che nel ’77 italiano si maschera da rivoluzione, e da questi Renato De Maria muove i primi passi nella creazione di Paz!, scritto a sei mani con Ivan Cotroneo e Francesco Piccolo.

Le occupazione, i capelli spettinati, i poster dei primi gruppi punk, le stanze condivise, grida di ribellione in una Bologna ora vuota, ora claustrofobica. Andrea Pazienza, la rockstar del fumetto italiano, regala a De Maria una città-ispirazione e tre personaggi simbolo, testimoni dell’eccezionale fermento artistico e mentale dell’autore: l’emarginato Pentothal (Claudio Santamaria), profondamente depresso ed assolutamente inalterabile, perso tra i fermenti rivoluzionari con cui non riesce a stare al passo e a cui chiede di fare un po’ di silenzio, chè non sopporta più queste “stronzate, a mille!”; Fiabeschi (Max Mazzotta), mantenuto dalla fidanzata ed iscritto al DAMS solo per fuggire all’arruolamento obbligatorio; Zanardi (Flavio Pistilli), giovane feroce e distruttivo nelle cui vene il sangue è mescolato all’odio. Durante la loro giornata-tipo questi tre animali in gabbia si guardano da lontano, condividendo luoghi ed avvenimenti, senza incontrarsi pur vivendo nello stesso appartamento, simbolo dell’improduttività che i tre, e tanti oltre loro, condividono.

La macchina da presa di De Maria si muove sinuosa e la sceneggiatura scongiura tempi morti: ogni singolo minuto è testimone della volontà dell’autore, ogni azione è pensata ora per divertire, ora per toccare l’intimità del singolo spettatore, anche grazie all’ausilio di una colonna sonora che spazia dal punk made in Italy dei CCCP alle interpretazioni di Riccardo Sinigallia, dal beat di DJ Sensei alla potenza eversiva degli Area. La musica fa da sfondo morbido e pungente ai monologhi urlati di un Pentothal perso in universi onirici; ai silenzi di Zanardi ed accompagna Fiabeschi nelle sue sventure più che meritate. Oltre i protagonisti, sono ritratti con estrema velocità ma funzionale cura i personaggi minori, e le semplici comparse hanno un peso considerevole: Giovanni Lindo Ferretti, leader dei CCCP negli ’80 e dei CSI nei ’90, interpreta l’Uomo Ombra (anche detto “il masticatore”), con cui Fiabeschi avrà un breve dialogo; Iaia Forte veste i panni della preside vessata da Zanardi; Giorgio Tirabassi suona una chitarra triste e scordata sotto i portici del DAMS, chiedendo due spiccioli. Indimenticabile la presenza di Antonio Rezza, accompagnato da Franki Hi-Nrg nei sogni e nelle paure di Pentothal.

Paz! risulta un caldo omaggio ad Andrea Pazienza, alla sua vena artistica e trasgressiva; a Bologna, città del regista; ai giovani di ogni anno ed ogni luogo, perchè in fondo ci si mette poco a dimostrarsi un po’ Pentothal, un po’ Fiabeschi, un po’ Zanardi: il film di De Maria non consiste in una nuova denuncia degli ideali urlati nel ’77, non è un ricordo storico, ma tende a dimostrare una continuità di comportamenti, di sofferenze e disagi che, esistiti nel passato, ripercorrono nel presente e saranno ritrovabili nel futuro. I personaggi di Paz! e la loro Bologna viaggiano negli anni e tra le generazioni, riproponendosi automaticamente.

“Alla mia infanzia torno sempre con angoscia e con rabbia. Mi vergognavo talmente della nostra

“Alla mia infanzia torno sempre con angoscia e con rabbia. Mi vergognavo talmente della nostra #povertà. Mio padre faceva il falegname. So che darò un dispiacere a mia madre, lei sostiene: «No, era un ebanista! ». Neanche si trattasse di un titolo nobiliare. Aveva una botteguccia dentro un garage, a Roma, e accomodava le seggiole. Solo di rado fabbricava un mobilino, assieme a mio nonno; falegname anche lui. Ci si lavava in cucina, a pezzi. Il giorno in cui andammo ad abitare in un appartamento di due camere con il bagno, guardai la vasca come se fosse una piscina. Ma avevo ormai 18 anni. In quell’appartamento conobbi anche il termosifone: prima dormivo con i calzini, le mutande di lana e il maglione. I miei genitori erano così poveri, guarda, che non si preoccupavano nemmeno del mio futuro. Mi mandarono all’Istituto industriale perché mi piaceva la tecnica e non riuscivo nelle materie astratte. E anche perché, con il diploma dell’Istituto industriale, sarei diventato un operaio specializzato o addirittura un geometra. Così non ho mai studiato greco, latino, filosofia: in compenso ho rizzato tanti muri e ho lavorato tanto ferro alla forgia. Lo dico senza rancore: l’attività manuale mi piaceva. Il rancore lo nutro soltanto per i soldi che non avevamo e per l’educazione sbagliata che ho ricevuto. Da ragazzo mi son sempre sentito dire; «Sii gentile con quel signore, sii obbediente, potrebbe servirti». Son cresciuto alla scuola dell’umiltà, ho imparato assai presto a piegarmi, adattarmi, accettare il ricatto, abbozzare. Dio, che infamia esser poveri. Non solo perché ti innamori delle scarpe che non puoi comprare, non solo perché devi andare a letto col maglione, ma perché sei costantemente privato della tua dignità. Guarda; quasi quasi ho voglia di assolverlo, questo tipo d’uomo che mi accingo a distruggere. Quel disgraziato ebbe un’educazione così nazista: un’educazione da schiavi. L’unica cosa buona della mia infanzia è che l’ho passata con gli amici per strada. Per strada trovi tanti alimenti, se guardi bene. L’unico risvolto negativo è che, dopo, non riesci più a stare solo. Sono un uomo che ha paura a star solo. Quando non lavoro, giro come un lupo per la città. Vado a cercare mio fratello, il mio sarto, un nuovo laterizio per farmi una casa. A cena devo andarci con la gente: non riesco a mangiare solo. Per dormire bene ho bisogno di una donna nel letto. Non per farci necessariamente all’amore: per sapere che è lì, accanto a me. Dev’essere perché anche da grande dormivo insieme a mia madre. Mio padre dormiva solo: il matrimonio si brucia presto tra i poveri, la brutalità della miseria uccide perfino il desiderio sessuale. Mia madre io l’ho sempre vista come una creatura asessuata: per gli italiani la madre è la Vergine che resta incinta per partenogenesi. Ed eccoci al punto più condannabile: io mi eccito solo attraverso rincontro con una donna. Esco dalla mia indifferenza, dalla mia abulia solo attraverso il gioco dell’amore. L’amore mi è necessario anche professionalmente: lavoro meglio quando ho una donna, sono più intelligente e più ricco. Mai cinico, tuttavia. Non sono mai riuscito a dire con-quella-ci-vado-a-letto-e-amen. Sono sempre partito da una cottarella e ho sempre finito col farmi fregare. Perché ho bisogno di inventarmela, la mia storia d’amore: di maturarla, nutrirla.”


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Non mi piaccio. Non mi sono mai piaciuto, neanche fisicamente. Non mi piaccio quando mi osservo allo

Non mi piaccio. Non mi sono mai piaciuto, neanche fisicamente. Non mi piaccio quando mi osservo allo specchio: questo nasino corto, questa bocca cicciuta. A me piacciono le bocche senza labbra e i nasi lunghi, aquilini. Io sono carino e un uomo non dev’esser carino. Più ci penso, più mi chiedo come sia possibile che una faccia simile mi dia da mangiare. Che la gente ci veda l’espressione di un’epoca, anzi il simbolo di un uomo ambiguo, confuso, egoista, immaturo? Sono tutto ciò, ed eccoci al peggio: non mi piaccio dentro. Tanto per dirne una, sono ignorante. Non ho mai tentato di studiare, non mi sono mai detto leggiamo-quel-libro, andiamo-in-quel museo, ascoltiamo-quel-concerto, può-essere-un-godimento. La cultura per molti è un godimento. Per me è un’impossibilità fisica e spirituale. Ma lo sai che mi stanco a leggere? Non approfondisco mai un problema. Vorrei, lo giuro, vorrei: perché è così brutto sentirsi a disagio tra la gente informata. Resto sempre alla finestra, a guardare. Mi spiace che tanti soffrano la fame, l’ho sofferta anch’io e so che cosa significa, ma non vado certo in giro a battermi per i poveri.
Se mi si piglia di contropiede, rispondo: «Ovvio che sono socialista!». Però non ho mai capito bene in cosa consista questo socialismo e non faccio alcuno sforzo per capirlo. Molti credono ch’io sappia le cose. A volte le so, vero, ma nella maniera in cui un animale fiuta il cibo e la strada che conduce all’abbeveraggio. D’istinto, ecco. Guarda il mio amore per i quadri: non nasce da una cultura pittorica, ma da un istinto. Quando li compro, non sbaglio mai. Dal mio disinteresse per tutto e per tutti mi sveglio esclusivamente per parlar di me stesso.

- Marcello Mastroianni


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“Disordine: io ci vivo dentro e non saprei vivere in un altro modo. Perdo tutto, anche in casa

“Disordine: io ci vivo dentro e non saprei vivere in un altro modo. Perdo tutto, anche in casa mia. Sono capace di uscire con un paio di scarpe e rientrare a casa che ne ho persa una. L'ordine sa di vuoto, di silenzioso. Non mi piace.”

Monica Vitti


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“C'ERAVAMO TANTO AMATI” Regia di Ettore Scola Anno 1974 Finita la guerra, scoppiò il dopoguerra. E l

“C'ERAVAMO TANTO AMATI”

Regia di Ettore Scola
Anno 1974

Finita la guerra, scoppiò il dopoguerra. E l'idea che gli anni successivi al conflitto mondiale rappresentarono una continuazione “fredda” della guerra civile, cui i protagonisti di “C'eravamo tanto amati” avevano partecipato, è l'essenza del capolavoro senza tempo di Ettore Scola. Un'opera marchiata da un'ambizione sfrenata, da una spericolatezza narrativa senza precedenti per la nostra commedia, una pellicola in cui, attraverso trent'anni di vita pubblica e privata, il regista racconta la vacuità di quei valori “di unità” che avevano caratterizzato la Resistenza. La particolarità di questo film è senza dubbio lo straordinario assemblaggio di parecchi elementi contraddittori che, a loro modo, hanno dato il proprio contributo alla storia del cinema italiano. Dal neorealismo di De Sica, alla critica ironica e beffarda nei confronti della televisione. Dall'incomunicabilità di Antonioni, al realismo magico di Fellini. Un capolavoro.


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Cinema 1966: Virna Lisi ( Ancona, 1936- Roma, 2014 )

Cinema : Luisella Beghi e Alfredo Varelli ne All'Ombra della Gloria (1945) , regia di Pino Mercanti. Film risorgimentale ambientato in Sicilia, fu girato e montato nel 1943 ma uscì nelle sale nel 1945.

L'attore bambino Tao Ferrari (1929-2018) ebbe il suo debutto nel film Ettore Fieramosca (1938) diretto da Alessandro Blasetti. La sua carriera di attore proseguì anche nel dopoguerra col nome di Paolo Ferrari.

Secondo una rivista dell'epoca, era discendente in linea diretta del noto commediografo ottocentesco Paolo Ferrari.

Totò e Silvana Jachino in una scena di San Giovanni Decollato (1940) diretto da Amleto Palermi. Tratto dalla commedia teatrale in dialetto siciliano di Nino Martoglio, che aveva già avuto una trasposizione cinematografica in epoca del muto, con protagonista l'attore siciliano Angelo Fusco. La versione sonora sarebbe dovuta essere interpretata dallo stesso attore che però morì nel 1937. Il progetto di realizzare questa versione sonora non fu abbandonato dal produttore Liborio Capitani e, dopo una lunga ricerca del sostituto, decise di affidare la parte, nonostante le riserve dei suoi collaboratori, all'attore napoletano dopo averlo visto in scena.

Fernandel nella scena della processione del Don Camillo (1952) diretto da Julien Duvivier


Auguri di Buona Pasqua

@di-biancoenero

Mariella Lotti è La Gorgona (1942) diretta da Guido Brignone. Tratto dall'omonimo dramma teatrale di Sem Benelli, costumi di Rosi Gori e Domenico Gaido.

Nella Repubblica di Pisa alcune città toscane si legano per scacciare i Saraceni dal Mar Mediterraneo. La figlia di un eroe pisano morto in battaglia, viene eletta vergine incaricata di portare la lampada votiva sino al raggiungimento della vittoria. Al comando delle milizie doveva essere destinato un giovane fiorentino ( interpretato da Rossano Brazzi) ma a causa di intrighi politici, viene privato della gloria del comando della missione in favore di un pisano e, per vendicarsi del disonore, s'intrufola nel palazzo della vergine con lo scopo di sedurla. I due giovani però si innamorano, con tragiche conseguenze.

Curiosità: nel film è presente il grande doppiatore Emilio Cigoli che però, in quanto impegnato a doppiare l'attore Piero Carnabuci, è a sua volta doppiato dall'altra grande voce Gualtiero De Angelis.

Il film raro, è visibile sul mio canale qui :

Doris Duranti in una scena del film Carmela (1942) diretto da Flavio Calzavara, tratto dal racconto Vita Militare di Edmondo De Amicis

L'attrice Vera Carmi

Torino, 1914- Roma, 1969

Laura Solari e Otello Toso in Ridi Pagliaccio (1941) diretto da Camillo Mastrocinque. Soggetto e sceneggiatura di Mastrocinque e Giuseppe Zucca, la colonna sonora contiene brani musicali di Ruggero Leoncavallo diretti da Alessandro Cicognini.

Corrado Racca come governatore di Milano in una scena del film Il Cavaliere Senza Nome (1941) diretto da Ferruccio Cerio

Luisa Ferida, 1940

Gino Cervi in una scena de La Corona di Ferro (1941) diretto da Alessandro Blasetti

Imperio Argentina e Michel Simon in una scena di Tosca (1941) diretto da Carl Koch

Gino Cervi ed Evi Maltagliati in una scena del film Aldebaran (1935), dramma sentimentale d'ambientazione navale, diretto da Alessandro Blasetti. In quegli anni, Cervi e la Maltagliati recitavano nella medesima compagnia teatrale , la Cervi-Maltagliati-Tofano.

Vittorio De Sica con la prima moglie Giuditta Rissone, attrice di teatro e cinema, in una foto del 1934 circa.

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Dementia (1955) a.k.a. Daughter of Horror

Very much my shit. Spent the rest of the evening humming and singing the music, for which I humbly apologize to my SO and my dog. Might make the perfect double feature withCarnival of Souls(1962)? [letterboxd] [tubi]

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Bernice Bobs Her Hair(1976)

This was produced for public television as part of a series called “The American Short Story.” Given that information, the vibe you have in your head is probably accurate. So charming. Shelley Duvall is one of a kind and she is a pitch-perfect Bernice. [letterboxd] [kanopy]

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Night of the Devils (1972) orig.: La notte dei diavoli

I’ve decided that Russian stories adapted by Italian filmmakers is a winning micro-genre. [letterboxd] [kanopy]

BONUS:

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Rosy Dreams (1977) orig.: Ružové sny

This movie wasn’t new to me, but I watched it again for the first time since college and it was just as great as I remembered. Slovak film has never gotten its due attention. Maybe I should do a feature series on Slovak cinema??? This year marks 100 years since their first feature film too… [letterboxd]

As always, if you’re interested in any of these and need any specific content warnings ahead of time, feel free to ask!

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