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Pretty sure I’ve seen this as a tattoo the last time I went peoplewatching at Lolla. The Louvre says

Pretty sure I’ve seen this as a tattoo the last time I went peoplewatching at Lolla. 

The Louvre says these snakes represent an early form of Serapis, and a quick google tells me that he’s complicated

[ID: A circular piece of stone, carved with an inscription and two figures; the figures are snakes, their tails knotted together, but they have human heads with beards and crowns, one solar, one papyrus.]


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““When the Assyrian Empire exercised political power in south-eastern Anatolia, Assyrian governors expressed their power through art in Assyrian courtly style,” said Dr Adalı.
However, the accompanying inscriptions tell the story of integration, rather than conquest. They are written in the local language of Aramaic, rather than Assyrian, and the artwork features religious themes from Anatolia and Syria.”

“Notes attached to the mirror in the eighteenth century identify it as “The Devil’s Looking-glass” and “The Black Stone into which Dr Dee used to call his Spirits.”

The Aztecs used obsidian mirrors of this sort to divine the future, and a number of these objects were brought to Europe following the conquest of Mexico in the early sixteenth century.”

““This is one of those finds when you are just laughing all the time because you can’t believe it,” says Cau. “This is the sort of thing that happens to you once in an academic lifetime. We will never find anything like this again and that’s what makes it so special.””

“This sheds light on the origins of this Paleolithic era sculpture, and how people moved across landscapes during ancient times.”

“Crucially, the team also found additional temples flanking the Kothon, along with stelae, altars, votive offerings, and a pedestal in the centre of the lake that once held a statue of Ba’al. Together, these indicate this was not a harbour but a sacred pool at the centre of one of the largest cultic complexes of the pre-Classical Mediterranean.”

VOCI DI ROMA

ANCO MARZIO E IL RITO FEZIALE

“Volendo istituire cerimonie guerresche, perché non si facessero guerre senza prima averle dichiarate secondo un certo rito, fissò la procedura, tratta dagli antichi Equicoli e ancor oggi seguita dai feziali, con la quale si richiedono riparazioni. Quando il messo giunge nel territorio del popolo al quale si chiedono riparazioni, col capo bendato dice: «Ascolta Giove, ascoltate oh confini - e qui nomina il popolo a cui essi appartengono - ascolti la giustizia divina: io sono il pubblico rappresentante del popolo romano; vengo delegato giustamente e santamente e alle mie parole sia prestata fede».

Quindi espone le richieste ed invoca Giove a testimone: «Se io chiedo che mi vengano consegnate quelle persone e quelle cose contrariamente al diritto romano e divino, non permettere che io riveda mai più la mia patria». Queste cose ripete e varca il confine, quando incontra il primo uomo in territorio nemico, quando entra nella città e quando giunge al foro, mutando solo poche parole della formula.

Se non vengono soddisfatte le sue richieste, passati 33 giorni, in questo modo dichiara guerra: «Ascolta, oh Giove e tu, oh Giano Quirino e voi tutti, oh dèi del cielo, della terra e degli inferi, ascoltate; io vi invoco a testimoni che quel popolo - e qui ne fa il nome - è ingiusto e non concede il risarcimento dei danni. Ma su queste cose consulteremo gli anziani in patria, su come possiamo far valere il nostro il nostro diritto».

Tornato a Roma, il re poi si consultava col Senato e se si decideva per la guerra […] era usanza che il feziale portasse al confine nemico un'asta con la punta di ferro o bruciacchiata e tinta di sangue, dichiarando guerra e lanciandola nel territorio nemico.”

✍️Tito Livio, I, 32, 5-11 (a cura di Claudio Moreschini), BUR, Milano 2013.

(Nell'immagine: affresco proveniente dalla necropoli dell'Esquilino,tomba dei Fabii o Fannii, oggi ai Musei Capitolini.Datato alla prima metà III secolo a.C. ritrae forse un rito feziale.

ACCADDE OGGI

Nel calendario romano il 5 dicembre ricorreva la festa delle Faunalia, che si svolgeva non in città, ma nelle campagne. Le Faunalia venivano celebrate in onore di Fauno, una divinità italica oggetto di un culto antico, dio della fertilità, protettore degli animali, dei campi e delle selve.

In questa giornata i contadini sospendevano ogni attività lavorativa nei campi, sacrificavano a Fauno un capretto o una pecora e gli offrivano del vino, affinché proteggesse i boschi, il bestiame e le colture e bruciavano incenso sulle are. Queste informazioni ce le ha tramandate il poeta Orazio (Odi, III, 18), senza nascondere l'ironia degli occhi del cittadino nei confronti degli usi di campagna:

“Fauno, che corteggi le ninfe fuggenti,

cammina leggero sui campi

assolati della mia terra e vattene

senza fare del male ai piccoli del mio gregge, se a fine anno

ti viene offerto un capretto tenero

e non manca vino abbondante

alla coppa, compagna di Venere, e il vecchio altare

fuma di molto aroma.

Alla tua festa di dicembre il bestiame

gioca tutto sull’erba,

e assieme ai buoi oziosi il villaggio

fa festa sui prati; passeggia

il lupo in mezzo agli agnelli

audaci, ed il bosco riversa in tuo onore

le foglie sparse; il colono gode di battere

col piede tre volte la terra odiosa”.

Le caratteristiche principali di Fauno sono evidenziate dai suoi appellativi. Fauno è “Agrestis” (Ovidio, Fasti, II, 193), si aggira nelle foreste e nelle campagne, per apparire spesso ai contadini, che si diverte a spaventare, di giorno e anche di notte; è “Incubus” perché grava sul corpo di chi dorme e lo affligge con inquietanti visioni notturne; è “Inuus” (fecondatore), ovvero è perennemente intento ad accoppiarsi con donne e ninfe, ma anche con le femmine di tutti gli animali; è anche “Fatuus” o “Fatuclus” (Servio, Commento al'Eneide, VI, 775; VIII, 314) quindi dotato di parola, che utilizza per dar voce alla foresta e per pronunciare i suoi oracoli. Fauno si trova spesso associato a divinità a lui simili, come Silvano, dio delle selve e Luperco, una sua manifestazione sotto forma di lupo ed è anche identificato con un antico re del Lazio, nipote di Saturno, figlio di Pico e della ninfa Canente e padre di Latino, la cui figlia Lavinia sposò Enea (Virgilio, Eneide, VII; X).

Dalle sembianze umane, quando l'interpretazione ellenistica identificò Fauno con Pan, iniziò ad essere rappresentato con corna e zoccoli di capra, come il suo equivalente greco.


(Nell'immagine: Fauno in marmo rosso (II secolo d.C.), proveniente da Villa Adriana, ora conservato presso i Musei Capitolini a Roma).

ACCADDE OGGI

IL CICLO FESTIVO DEI LEMURIA

Si trattava di feste celebrate il 9, 11 e 13 maggio intitolate agli spiriti dei morti, i Lemuri. Non si conoscono cerimonie pubbliche riferite ai Lemuri, ma abbiamo testimonianza del culto domestico grazie ai Fasti di Ovidio, il quale sottolinea che nel mese di maggio erano sconsigliati i matrimoni: “La gente dice che le donne sfortunate si sono sposate nel mese di maggio”.

Gli spiriti dei morti venivano calmati con delle offerte, tra cui dei fagioli neri e, sempre secondo Ovidio, questa pratica derivava da Romolo, il quale istituì queste celebrazioni per placare lo spirito di Remo.

L'usanza era allontanare gli spiriti a piedi scalzi, lanciando fagioli neri dietro di sé per tutta la notte. Colui che prendeva parte a tale rito era il pater familias, il quale, senza voltarsi, ripeteva la formula «Manes exite paterni», cioè «uscite o spiriti degli antenati». Inoltre ripeteva per nove volte: «Dono questi, con questi fagioli neri redimo e riscatto me stesso e tutto ciò che è mio».

Successivamente la famiglia intera percuoteva dei vasi di bronzo, ripetendo sempre nove volte: «Spiriti ancestrali, andate!».

I passi sono tratti da: Ovidio, Fasti, V, 436-475 (a cura di Luca Canali), BUR, Milano 1998.

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