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È morta la vedova di Almirante. Forse.

A proposito dell'adunata degli alpini a Rimini e delle denunce fatte da donne e ragazze per le molestie subite da questi, vi invito a leggere questo post sui crimini di guerra commessi dagli Alpini. 

Il corpo degli alpini venne fondato il 15 ottobre 1872. L’alpino viene descritto come “valoroso difensore della Patria dal barbaro invasore austriaco”. Peccato che le cose erano al contrario: nel 1911-12, l’Italia partecipò alla guerra per la conquista della Libia contro la Turchia.

Nel 1915, quando l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, gli alpini della Divisione Pusteria occuparono il Sud Tirolo (l’attuale Trentino Alto-Adige).

L’Associazione Nazionale degli Alpini venne creata nel 1919 e l’associazione si associò direttamente alla dittatura fascista. Il regime creò il mito dell’alpino. 

Nel 1935-36, l’Italia aggredisce l’Etiopia dove l’esercito utilizzò armi chimiche contro la popolazione locale. La Divisione Pusteria combatté battaglie più cruente  di Tigrai, Amba Aradan, Amba Alagi e Tembien ed ai massacri di Mai Ceu e al lago Ashangi. Anche dopo la guerra, gli alpini di tale divisione commisero crimini odiosi. Il regime fascista creò a Bruneck, oggi Brunico, un monumento per glorificare gli alpini caduti in guerra, monumento ancora difeso ma ritenuto giustamente umiliante per i sudtirolesi.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la Divisione Pusteria aggredì la Francia e poi l’URSS. Il 26 gennaio 1943 si combatté la cruenta battaglia di Nikolaevka. Gli alpini appoggiavano l’occupazione nazista in Unione Sovietica. Dei 57 mila alpini ne tornarono solo 11 mila che non solo erano vittime, ma anche dei colpevoli dei crimini di guerra commessi lì. Il fascismo strumentalizzò il loro “sacrificio”, De Gasperi fece di tutto per non far processare i militari italiani, gli alpini compresi, per i loro crimini commessi. 

Ancora oggi gli alpini non si pentono dei crimini commessi in tempi di guerra e mostrano ancora una volta i loro sentimenti nazionalisti e razzisti. Nel Sud Tirolo, gli alpini si comportano come forze di occupazione. 

Matteo Salvini dice “Viva gli alpini!” alla notizia delle molestie da parte loro verso donne e ragazze al raduno a Rimini. Il Governatore dell’Emilia Romagna, del PD, li onora pure. Tali episodi si sono ripetuti nelle passate adunate degli alpini, ma i politici, di destra e di sinistra, non ne fanno un problema minimizzando o ipocritamente prendendo distanze senza prendere provvedimenti drastici. 

E allora quando ci sono state violenze e molestie di massa verso ragazze nel capodanno a Milano dove figli di immigrati sono coinvolti hanno alzato la voce, perché se lo fanno dei militari italiani in un’adunata tutto viene minimizzato con giustificazioni e prese di distanza ipocrite o addirittura arrivare ad accusare di “esagerazione” e di “vilipendio” coloro che denunciano le molestie subite? Perché la donna deve essere sempre di “proprietà” dell’uomo italico, bianco, cristiano-cattolico, etero, cisgender. Perché gli italiani sono “brava gente”.

Intanto il governo ha istituito la giornata nazionale degli alpini da celebrare ogni 26 gennaio, data che ricorre la battaglia di Nikolaevka nel 1943 quando l'Italia affiancava la Germania nazista. Ciò significa che l'Italia è ancora un paese a memoria corta e che mai farà i propri conti con la storia.

#IstantaneeDalPassato | #FlashbackFriday: “Historia”, ottobre 1965; N. 95. «Riguardo al

#IstantaneeDalPassato | #FlashbackFriday: “Historia”, ottobre 1965; N. 95. 

«Riguardo al colonialismo italiano viene però assai creato un mito: è stato più umano, più tollerante, diverso dagli altri. […] il nostro era un colonialismo all'acqua di rose. […] Questa è l'idea straordinariamente diffusa, […] E si dimentica che, seppure la potenza coloniale italiana non sia paragonabile a quella inglese o francese, tuttavia in Africa orientale l'Italia c'è stata per oltre mezzo secolo, e in Libia per più di trent'anni.
[…]
La politica di segregazione razziale in Africa, la politica di «tutela della purezza della razza dominatrice» e di «difesa del prestigio della razza» […] rimane quasi ignota. E soprattutto sono poco conosciute le azioni compiute durante il fascismo nelle guerre di Libia e di Etiopia, come l'uso massiccio dei gas, fosgene e iprite – già vietati dagli accordi internazionali di Ginevra –, i massacri ripetuti, le deportazioni di massa in Cirenaica e i campi di concentramento che radunavano l'intera popolazione e dove morivano di stenti anche i bambini.

Crimini di guerra i cui responsabili, Graziani e Badoglio (incluso dalla United Nations War Crimes Commission nella lista dei criminali di guerra) non sono mai stati processati, nonostante le richieste presentate dall'Etiopia al tribunale di Norimberga nel 1946. Né sono stati mai processati gli altri responsabili dei genocidi compiuti in Africa dagli italiani.
[…]
Alla mancata discussione su fatti di tale gravità si accompagna una mistificazione e un'ignoranza altrettanto forti su altri aspetti della storia coloniale. Perdura tenacemente una visione romantica sui comportamenti dei civili, sulle loro idee e sui rapporti con le popolazioni che incontrarono in veste di esploratori, commercianti o colonizzatori. «Gli italiani in Africa? ma erano brava gente – si dice.» (dall’ Introduzione di “La pelle giusta”, Paola Tabet)


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imcubo: sic semper tyrannis29 aprile, la giornata mondiale dei dittatori appesi

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29 aprile, la giornata mondiale dei dittatori appesi


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ITsART - L’arte racconta l’arte - Davide Trabucco-RICOSTRUZIONE EUROPEA - GALLERIA COLONNA -Roma - 3

ITsART - L’arte racconta l’arte - Davide Trabucco
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RICOSTRUZIONE EUROPEA - GALLERIA COLONNA -Roma - 30 OTTOBRE - 28 NOVEMBRE 1948 - MOSTRA INFORMATIVA UN ARCOBALENO FORMATO DALLE BANDIERE EUROPEE © ICCD, fondo Ferro Candilera

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Esposizione Universale. grande arco su edifici romani, persone e automobili © Raccolta Nando Salce



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El mundo según Putin / The world according to Putin

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daModena antifascista


L’autore del manifesto politico dietro la strage di Christchurch non è un folle,  è il figlio legittimo, integrato e coerente, del tempo in cui viviamo: il tempo della crisi.

Crisi – nel suo significato originario di trasformazione radicale – che non è solamente materiale, ovvero di decadenza di un intero ciclo di egemonia ed accumulazione capitalistica, ma anche politica e sociale, che sconquassa le categorie e i rapporti su cui si sono retti patti e conflitti, e che sconvolge aspetti culturali, antropologici, esistenziali – collettivi e individuali – che si erano dati lungo tutto un arco storico.  

Brenton Tarrant, come del resto qualsiasi jihadista cresciuto nelle metropoli d’Europa, parla la nostra lingua. Ha 28 anni, è cresciuto con internet e la sua cultura, dentro l’atomizzazione della forma di vita neoliberista, giusto in tempo per assistere alla decomposizione dell’ordine liberale. Depressione e disperazione, meme e cinica postironia nichilista, disintermediazione politico-culturale e catastrofe ecologica planetaria. Un senso della fine che, dentro un eterno presente senza storia e senza futuro, si compenetra con la fine del senso, sprigionando energia distruttiva. Che non trova niente a incanalarla verso fini progressivi. E per questo va a scorrere, inevitabilmente spinta dalla forza di gravità, sui solchi già tracciati nel terreno.

Come Anders Breivik e Luca Traini prima di lui, Brenton Tarrant infatti ha semplicemente cristallizzato in atto ciò che è quotidianamente diffuso a livello liquido e gassoso nelle nostre società, non solo occidentali. Ciò che respiriamo ogni giorno. Ciò che è stato sciolto nei pozzi da cui ci abbeveriamo.
Il manifesto che ha mosso i fucili mitragliatori degli stragisti sulla folla inerme in preghiera si intitola, paradigmaticamente, “The Great Replacement”: La Grande Sostituzione.
Parole, concetti diventati moneta comune in occidente, che ritornano. Ma che hanno un origine precisa. La sostituzione etnica, il genocidio – culturale e biologico – della razza bianca, la grande paranoia contemporanea dell’uomo occidentale: dal grezzo cospirazionsimo suprematista a fine teoria della Nouvelle Droite (dice niente il best seller di Renaud Camus “Le Grand Remplacement”?), dalla marginalità degli ambienti neonazisti a strumento di campagna elettorale del governo. In Italia, dalla copertina del Primato Nazionale alla tv in prima serata, fino al Ministero dell’Interno.

Brenton Tarrant, che si è filmato mentre uccideva cinquanta persone disarmate, si definisce un fascista. Lo è. Ma le sue parole sembrano appena uscite dal telegiornale della cena. Da un qualsiasi talk show televisivo in prima serata. Dall’intervista alla radio di qualche rappresentante delle istituzioni, magari “oltre la destra e la sinistra”. Dal tweet di qualche politico che si dichiara contro i poteri forti ma di buon senso, populista ma non razzista, Dalla Vostra Parte ma prima gli italiani bianchi. L’omogeneità etnica e l’organicità nazionale come valori in sé. L’immigrazione come un complotto contro gli autoctoni. L’uomo bianco sotto attacco, devirilizzato, sterilizzato, come vittima. La decadenza dell’occidente, l’invasione islamica, il razzismo differenzialista. L’etnonazionalismo mascherato da identitarismo, la guerra civile-razziale. Tutto ciò è perfettamente compatibile con la democrazia liberale.
La tragedia non è soltanto l’orrenda strage, ma la legittimità sociale, il senso comune, l’integrazione culturale e la nobiltà politica che sono state conferite agli assiomi che l’hanno portata a compimento.

Il passaggio dalla metapolitica, ovvero dalla costruzione di egemonia culturale, alla lotta armata di lupi sempre meno solitari e sempre più organizzati, sul modello di Daesh, alla guerra civile. Dentro questo ampio spettro, la strage di Christchurch porta allo scoperto, attraverso la loro coerente estremizzazione e come un presagio, le matrici di processi di lungo periodo in atto già da tempo nelle nostre società, dentro cui specifiche forze stanno operando per determinarne una possibile direzione e un tendenziale sbocco.
Dentro questo spettro si rimodula il potere sovrano, se esso è colui che decide sullo stato di eccezione.

Dentro a tutto ciò, a partire da tutto ciò, le categorie che abbiamo utilizzato fino ad ora paiono inermi, non più efficaci, limitate a comprenderne la portata. Le bussole antropologico-politiche di un intero arco di civilizzazione si stanno riorientando: vediamo il movimento, non riusciamo a coglierne appieno la direzione d’approdo.

Dentro a tutto ciò, di fronte a tutto ciò, il senso di quello che chiamiamo un antifascismo per il XXI secolo è tutto da ricercare, costruire, sviluppare, necessariamente, crediamo, travalicando i limiti dell’antifascismo stesso.

Questa la porta stretta entro cui, necessariamente, passare.

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