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Tina Aumont in Fellini’s Casanova (1976)Direction: Federico FelliniCostumes: Danilo Donati and FederTina Aumont in Fellini’s Casanova (1976)Direction: Federico FelliniCostumes: Danilo Donati and Feder

Tina Aumont in Fellini’s Casanova (1976)

Direction: Federico Fellini

Costumes: Danilo Donati and Federico Fellini


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La Dolce Vita, 1960

“Forse il periodo più bello della mia vita non solo d’attore, ma anche da uomo, è stato quello duran

“Forse il periodo più bello della mia vita non solo d’attore, ma anche da uomo, è stato quello durante le riprese de ‘La dolce vita’. Tutti su questo zatterone, portati dal vento ora da una parte, ora dall’altra, in un clima così festoso sempre…Per Fellini fare cinema è sempre stato veramente un gioco, una festa continua. Posso solo ripetermi, nel ricordare quanta felicità, durante quelle giornate, in quel film che durò quasi sei mesi ma che sarebbe dovuto durare sei anni. Ogni volta un episodio nuovo, dei nuovi incontri. Troppo bello è stato quel periodo, troppo!”

Marcello Mastroianni, “Da attore a divo”.


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“Alla mia infanzia torno sempre con angoscia e con rabbia. Mi vergognavo talmente della nostra

“Alla mia infanzia torno sempre con angoscia e con rabbia. Mi vergognavo talmente della nostra #povertà. Mio padre faceva il falegname. So che darò un dispiacere a mia madre, lei sostiene: «No, era un ebanista! ». Neanche si trattasse di un titolo nobiliare. Aveva una botteguccia dentro un garage, a Roma, e accomodava le seggiole. Solo di rado fabbricava un mobilino, assieme a mio nonno; falegname anche lui. Ci si lavava in cucina, a pezzi. Il giorno in cui andammo ad abitare in un appartamento di due camere con il bagno, guardai la vasca come se fosse una piscina. Ma avevo ormai 18 anni. In quell’appartamento conobbi anche il termosifone: prima dormivo con i calzini, le mutande di lana e il maglione. I miei genitori erano così poveri, guarda, che non si preoccupavano nemmeno del mio futuro. Mi mandarono all’Istituto industriale perché mi piaceva la tecnica e non riuscivo nelle materie astratte. E anche perché, con il diploma dell’Istituto industriale, sarei diventato un operaio specializzato o addirittura un geometra. Così non ho mai studiato greco, latino, filosofia: in compenso ho rizzato tanti muri e ho lavorato tanto ferro alla forgia. Lo dico senza rancore: l’attività manuale mi piaceva. Il rancore lo nutro soltanto per i soldi che non avevamo e per l’educazione sbagliata che ho ricevuto. Da ragazzo mi son sempre sentito dire; «Sii gentile con quel signore, sii obbediente, potrebbe servirti». Son cresciuto alla scuola dell’umiltà, ho imparato assai presto a piegarmi, adattarmi, accettare il ricatto, abbozzare. Dio, che infamia esser poveri. Non solo perché ti innamori delle scarpe che non puoi comprare, non solo perché devi andare a letto col maglione, ma perché sei costantemente privato della tua dignità. Guarda; quasi quasi ho voglia di assolverlo, questo tipo d’uomo che mi accingo a distruggere. Quel disgraziato ebbe un’educazione così nazista: un’educazione da schiavi. L’unica cosa buona della mia infanzia è che l’ho passata con gli amici per strada. Per strada trovi tanti alimenti, se guardi bene. L’unico risvolto negativo è che, dopo, non riesci più a stare solo. Sono un uomo che ha paura a star solo. Quando non lavoro, giro come un lupo per la città. Vado a cercare mio fratello, il mio sarto, un nuovo laterizio per farmi una casa. A cena devo andarci con la gente: non riesco a mangiare solo. Per dormire bene ho bisogno di una donna nel letto. Non per farci necessariamente all’amore: per sapere che è lì, accanto a me. Dev’essere perché anche da grande dormivo insieme a mia madre. Mio padre dormiva solo: il matrimonio si brucia presto tra i poveri, la brutalità della miseria uccide perfino il desiderio sessuale. Mia madre io l’ho sempre vista come una creatura asessuata: per gli italiani la madre è la Vergine che resta incinta per partenogenesi. Ed eccoci al punto più condannabile: io mi eccito solo attraverso rincontro con una donna. Esco dalla mia indifferenza, dalla mia abulia solo attraverso il gioco dell’amore. L’amore mi è necessario anche professionalmente: lavoro meglio quando ho una donna, sono più intelligente e più ricco. Mai cinico, tuttavia. Non sono mai riuscito a dire con-quella-ci-vado-a-letto-e-amen. Sono sempre partito da una cottarella e ho sempre finito col farmi fregare. Perché ho bisogno di inventarmela, la mia storia d’amore: di maturarla, nutrirla.”


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Non mi piaccio. Non mi sono mai piaciuto, neanche fisicamente. Non mi piaccio quando mi osservo allo

Non mi piaccio. Non mi sono mai piaciuto, neanche fisicamente. Non mi piaccio quando mi osservo allo specchio: questo nasino corto, questa bocca cicciuta. A me piacciono le bocche senza labbra e i nasi lunghi, aquilini. Io sono carino e un uomo non dev’esser carino. Più ci penso, più mi chiedo come sia possibile che una faccia simile mi dia da mangiare. Che la gente ci veda l’espressione di un’epoca, anzi il simbolo di un uomo ambiguo, confuso, egoista, immaturo? Sono tutto ciò, ed eccoci al peggio: non mi piaccio dentro. Tanto per dirne una, sono ignorante. Non ho mai tentato di studiare, non mi sono mai detto leggiamo-quel-libro, andiamo-in-quel museo, ascoltiamo-quel-concerto, può-essere-un-godimento. La cultura per molti è un godimento. Per me è un’impossibilità fisica e spirituale. Ma lo sai che mi stanco a leggere? Non approfondisco mai un problema. Vorrei, lo giuro, vorrei: perché è così brutto sentirsi a disagio tra la gente informata. Resto sempre alla finestra, a guardare. Mi spiace che tanti soffrano la fame, l’ho sofferta anch’io e so che cosa significa, ma non vado certo in giro a battermi per i poveri.
Se mi si piglia di contropiede, rispondo: «Ovvio che sono socialista!». Però non ho mai capito bene in cosa consista questo socialismo e non faccio alcuno sforzo per capirlo. Molti credono ch’io sappia le cose. A volte le so, vero, ma nella maniera in cui un animale fiuta il cibo e la strada che conduce all’abbeveraggio. D’istinto, ecco. Guarda il mio amore per i quadri: non nasce da una cultura pittorica, ma da un istinto. Quando li compro, non sbaglio mai. Dal mio disinteresse per tutto e per tutti mi sveglio esclusivamente per parlar di me stesso.

- Marcello Mastroianni


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3 FEBBRAIO 1960: Anteprima de La Dolce Vita al cinema Fiamma di Roma.3 FEBBRAIO 1960: Anteprima de La Dolce Vita al cinema Fiamma di Roma.3 FEBBRAIO 1960: Anteprima de La Dolce Vita al cinema Fiamma di Roma.

3 FEBBRAIO 1960: Anteprima de La Dolce Vita al cinema Fiamma di Roma.


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“C'ERAVAMO TANTO AMATI” Regia di Ettore Scola Anno 1974 Finita la guerra, scoppiò il dopoguerra. E l

“C'ERAVAMO TANTO AMATI”

Regia di Ettore Scola
Anno 1974

Finita la guerra, scoppiò il dopoguerra. E l'idea che gli anni successivi al conflitto mondiale rappresentarono una continuazione “fredda” della guerra civile, cui i protagonisti di “C'eravamo tanto amati” avevano partecipato, è l'essenza del capolavoro senza tempo di Ettore Scola. Un'opera marchiata da un'ambizione sfrenata, da una spericolatezza narrativa senza precedenti per la nostra commedia, una pellicola in cui, attraverso trent'anni di vita pubblica e privata, il regista racconta la vacuità di quei valori “di unità” che avevano caratterizzato la Resistenza. La particolarità di questo film è senza dubbio lo straordinario assemblaggio di parecchi elementi contraddittori che, a loro modo, hanno dato il proprio contributo alla storia del cinema italiano. Dal neorealismo di De Sica, alla critica ironica e beffarda nei confronti della televisione. Dall'incomunicabilità di Antonioni, al realismo magico di Fellini. Un capolavoro.


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