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(Podcast) I russi alla conquista della Finlandia

(Podcast) I russi alla conquista della Finlandia

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Con oggi inizierò a proporvi, di tanto in tanto, delle puntate del podcast a tema storico.Anzi, è più corretto dire che riprendo a farlo, visto che una dozzina di anni fa scrivevo articoli di Storia sul mio defunto Blog sull’orlo del mondo.Premetto col dire che questi argomenti non sono affatto fuori tema rispetto ai…


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“ — Occorre un vero nazionalismo russo — disse Rebrov. — Qualsiasi. Anche il più fascista. Altrimenti la Russia non si solleverà. Altrimenti il popolo russo sarà per sempre l'arena e il materiale per furfanti d'ogni tipo.
E di nuovo cominciammo un'assurda discussione sul nazionalismo, sull'internazionalismo, sull'antisemitismo, sul sionismo.
— In tutte le nostre conversazioni di questo genere — disse poi Rebrov, — c'è qualcosa di ipocrita, di vergognoso e vile. Eppure un popolo che desidera acquistare un ruolo autonomo attivo nella storia, non può fare a meno del nazionalismo. In tutte le nostre repubbliche prospera il nazionalismo. E noi riconosciamo la sua legittimità. Ma per il popolo più infelice e oppresso di questo paese, per il popolo russo, non ammettiamo nemmeno che si possa pensare al nazionalismo. Questo, cari signori, non è altro che tradimento del proprio popolo!
— Io sono pronto ad accettare un nazionalismo russo — disse Senzanome — ma soltanto con un programma puramente sociale. In caso contrario il nazionalismo russo degenera sempre in un'unica formula idiota: la colpa è tutta dei giudei.
— Ma lei cosa intende per programma sociale? — chiesi io.
— La cultura occidentale e il modo occidentale di vita — disse Senzanome.
— Un errore madornale — disse Rebrov. — Il popolo russo non è un popolo di modello occidentale. È semplicemente russo, e basta. È un modello a sé come ogni altro grande popolo.
Ci separammo senza aver trovato un posto adatto dove mangiare qualcosa e senza essere arrivati ad un accordo sul tema del nazionalismo russo. Per quel che mi riguarda, non mi sono mai sentito un rappresentante della nazione russa. Mi sono sempre sentito moscovita, rappresentante di un particolare insieme cosmopolita di uomini delle più diverse nazionalità, e di quella parte di questo insieme, tra l'altro, i cui rappresentanti sono sospettati di essere ebrei mascherati o semiebrei. Mosca, personificando tutto il nostro enorme paese in tutta la sua varietà, nello stesso tempo si contrappone a esso come una formazione completamente nuova universale e si contrappone alle remote provincie semiasiatiche. Anch'io a volte nel grigiore e nella tristezza moscovita noto qualcosa di più espressivo del brio e della vivacità delle città dell'Europa occidentale. Vi intravvedo qualcosa di affine ad un bazar orientale. Mosca ha il futuro. L'Occidente il passato. E se dobbiamo parlare del ruolo del popolo russo, per me esiste soltanto questo problema reale: cosa apporterà il popolo russo a questa nuova comunanza, quando sarà sparito dalla faccia della terra come popolo russo. Ed esso praticamente sta scomparendo come nazione. La rivoluzione, la guerra civile, la collettivizzazione, le infinite repressioni, la seconda guerra mondiale, tutto questo distrusse la Russia come formazione nazionale. La Russia da tempo non c'è più. E non ci sarà mai più. È rimasta la popolazione russa, materiale per qualcosa d'altro, ma non per una nazione. Io sono convinto del fatto che per la popolazione russa il nazionalismo sarebbe un fatto estremamente reazionario. Sarebbe un tornare indietro, non un progresso. “

Aleksandr Zinov'ev, Il radioso avvenire, (traduzione di Isabella Leone), Spirali Edizioni, 1985¹; pp. 383-385.

[ 1ª pubblicazione: Светлое будущее, Éditions L'Âge d'Homme, Lausanne (Svizzera), 1978 ]

“ Pareva proprio un maestro di scuola che non fosse soddisfatto dei suoi scolari. Disse che era rimasto deluso, che gli dispiaceva di averne dovuti bocciar tanti, che sarebbe stato più contento se avesse potuto promuoverli tutti. In ogni modo, disse, quelli che non sono riusciti a superar l’esame non dovevano avvilirsi: sarebbero stati trattati bene, non avrebbero avuto da lagnarsi, purché lavorassero, e mostrassero maggior impegno nel lavoro di quel che non avessero mostrato sui banchi di scuola. Mentre parlava, il gruppo dei promossi guardava i compagni sfortunati con aria di compatimento, e i più giovani si davano l’un l’altro gomitate nei fianchi, ridacchiando fra loro. Poi, quando il Sonderführerebbe finito di parlare, il colonnello sì volse al Feldwebele disse: «Alles in Ordnung. Weg! » e si avviò verso gli uffici del Comando, senza voltarsi indietro, seguito dagli ufficiali che si volgevano indietro ogni tanto, parlando fra loro a voce bassa.
«Voi resterete qui fino a domani, e domani partirete per il campo di lavoro» disse il Feldwebelal gruppo di sinistra. Poi si volse al gruppo di destra, quello dei promossi, e con voce dura ordinò che si mettessero in riga. Non appena i prigionieri si furon disposti l’uno accanto all’altro, a contatto di gomito (avevano la faccia contenta, ridevano guardando i compagni con l’aria di burlarsi di loro), li ricontò rapidamente, disse «trentuno», e fece con la mano un cenno alla squadra di SS che aspettava in fondo al cortile. Poi ordinò: «dietro front, avanti marsch!». I prigionieri fecero dietro front, si mossero battendo forte i piedi nel fango, e quando si trovarono con la faccia contro il muro di cinta del cortile, «halt!» ordinò il Feldwebel, e voltosi alle SS che s’erano poste dietro ai prigionieri e già avevano alzato i fucili mitragliatori, si schiarì la gola, sputò per terra, e gridò: «Feuer!».
Al crepitio della scarica il colonnello, che era ormai giunto a pochi passi dalla porta del Comando, si fermò, si volse di scatto, anche gli ufficiali si fermarono, e si voltarono indietro. Il colonnello si passò la mano sul viso, come per asciugarsi il sudore, e seguito dai suoi ufficiali entrò nel Comando.
«Ach so!» disse il Sonderführerdi Melitopol passandomi vicino. «Bisogna ripulir la Russia di tutta questa marmaglia letterata. I contadini e gli operai che sanno leggere e scrivere troppo bene, sono pericolosi. Tutti comunisti».
«Natürlich» risposi. «Ma in Germania tutti, operai e contadini, sanno leggere e scrivere benissimo».
«Il popolo tedesco è un popolo di alta Kultur».
«Naturalmente,» risposi «un popolo di alta Kultur».
«Nicht wahr?» disse ridendo il Sonderführer, e s’avviò verso gli uffici del Comando.
E io rimasi solo in mezzo al cortile, davanti ai prigionieri che non sapevano leggere bene, e tremavo tutto. “

Curzio Malaparte,Kaputt, Introduzione di Mario Isnenghi, Mondadori ( Collana Oscarn° 1102 ), 1978; pp. 226-227.

[ 1ª ed. originale nel 1944 presso l’editore Casella di Napoli ]

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