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nocturnalpicnic: Aurel’s carpet , michael pontieri 2009 Lungu collection 

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Aurel’s carpet , michael pontieri 2009 Lungu collection 


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“ Il capo reparto stava in fondo e si vedeva di rado. I pezzi arrivavano sui nastri trasportatori, contati e controllati; tanti pezzi all’ora. Dopo una settimana riuscivo a seguire il ritmo del lavoro e avevo tempo ogni tanto per alzare la testa. Alzare la testa come se potessi farlo contro i miei mali e le tristi congiure.
Fuori l’inverno correva e si arrampicava su quelle querce, sopra i capannoni. La sera lo vedevo sul lago bianco e stretto.
Fino a tutto gennaio neve non tanta ma sovente, ogni due o tre giorni, senza attaccare. La guardavo dalla fabbrica e capivo che era inutile e che non avrebbe resistito.
Intanto continuavo il mio lavoro in mezzo agli altri, in silenzio, senza amicizie. Pinna non lo vedevo quasi piú e Gualatrone lo incontravo qualche volta alla mensa; ma era molto impegnato per l’amore e il partito. L’assistente sociale, dopo il trasferimento e la punizione, non l’avevo piú vista. Non andavo piú al cinema tutte le sere, perché a ora tarda era troppo freddo, anche con il cappotto.
In quel reparto del montaggio tutto mi sembrava nuovo e io stesso non avevo piú i risentimenti di prima.
Soffrivo ma con piú calma. Tutto l’ambiente, piú largo e piú luminoso, sembrava un posto inesistente, che dovesse sparire presto. Eravamo una massa confusa, che non chiedeva nulla, nemmeno a ciascuno di noi.
Eravamo tutti distratti anche se i nostri pensieri si accanivano. A certe ore nel reparto suonava la musica. Io l’ascoltavo e mi faceva bene. Spesso però mi ricordava il sanatorio, dove i malati cominciano ad aprire la radio alla mattina presto. Quando suonava la musica, il capo si alzava e cominciava a camminare su e giú nel corridoio in mezzo ai tavoli. Non guardava e non diceva niente a nessuno. Si chiamava Salvatore e faceva collezione di francobolli. In tutto il tempo che stetti con lui mi parlò soltanto due o tre volte, quando doveva farmi qualche comunicazione dell’infermeria o dell’Ufficio Personale.
Accompagnava le parole con un biglietto. Ricordo che per firmare impuntava la penna un attimo prima della esse maiuscola. Il suo silenzio era come tutto quello del reparto e nei suoi occhi non si leggevano intenzioni.
Cosí rimasi a lungo in quel posto senza seccature e ormai non m’importava piú nulla della qualifica e del lavoro.
Montare i pezzi era noioso ma anche faticoso, di una fatica che mi prendeva e mi accompagnava per tutta la giornata come un cattivo umore. “

Paolo Volponi,Memoriale, Garzanti, 1976 [1ª edizione 1962]; pp. 195-196.

smithsonianlibraries:An engraving from Fischer von Erlach and Johann Bernhard’s Entwurff einer histo

smithsonianlibraries:

An engraving from Fischer von Erlach and Johann Bernhard’s Entwurff einer historischen Architectur (1725) illustrating the ancient Greek architect Dinocrates’s proposal for a city on Mount Athos, complete with a massive depiction of Alexander the Great carved into the side of the mountain that would appear to hold the city in his hand. According to Wikipedia, the planned city was rejected as unlivable.

Full text available here.

This reminded me of Vincenzo del Vecchio’s anthropomorphic cities in the book Terraneo. Below, the artworks that inspired their impossible -yet fascinating- architectures.


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Gli individui formano villaggi, i villaggi diventano paesi, i paesi si inchinano alle città, le città agli stati. Gli ordini viaggiano dal centro alle propaggini. I risultati viaggiano dalle propaggini al centro. La comunicazione è costante.


Gli oceaní non possono sopravvivere senza i rivoli d'acqua, né i robusti tronchi degli alberi senza i germogli, né il sovrano cervello senza le terminazioni nervose. Come in alto, così in basso. Come ai confini, così nel nucleo centrale.

Naomi Alderman, Ragazze elettriche

“Non voglio averti per riempire i vuoti in me. Voglio essere già piena di mio, voglio essere così completa da poter illuminare una città intera, e dopo voglio averti, perché noi due messi insieme potremmo incendiarla.”

-Rupi Kaur

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