#racconti

LIVE

Ho da dire al mondo un paio di verità. Lo faccio da sobria che forse non mi volta le spalle. Il libro che leggevo è fermo alla stessa pagina. Un giorno lo dimenticherò in treno. Che poi neanche ci vado, in treno.

Però, quel giorno, l’ho fatto. E ci sono voluti anni per dimenticarlo. E c’è voluto un secondo per ricordarlo. Se ti giri intorno e magari ti vien voglia di chiamarmi, lo completi tu il mio libro. Che ho sempre lasciato le cose a metà. Come i discorsi e il tè, che alla fine mi si fredda sempre. Però in stazione ci vengo. Tanto lo so che un po’ mi presti gli occhi. E aspetti per me. E fingi per me. E piangi per me.

#2.

Ho spazzato intorno al cuore.

Di lato, più a destra, un sentiero mi ricorda la strada di casa. Da quelle parti ci sono due grandi cespugli floreali dove si respira forte ed involontariamente. Dicono che non si può dimenticare di farlo perché poi ci si priva della vita. Allora di tanto in tanto, per non cadere nella noia prendo un sasso e lo piazzo più giù, nel retrovia. Che poi ha tutt’altro nome, ma a me piace chiamarlo così perché la zona, in penombra, ricorda un territorio di combattimento. Un luogo, dove quando piove forte ed incessantemente ci si può sentire logorare. Qui, ai più forti sale la fame, ai più deboli passa. Gli insicuri, invece, si alternano. Ancora non ho inteso la mia collocazione, però quando si sentono i tuoni provo a fare un gioco. Non sempre riesce, ma nella piazza principale, situata su, a nord della vista, raccontano da secoli che ci siano i comandi. Se li sai usare bene, puoi assaggiare una porzione di felicità, ma se li blocchi, puoi provare una sensazione che anche se non ti appartiene, risulta spiacevole fino ad aspirarti il sonno. La postazione pare sia la stessa, cambia solo il controllo. Il mio gioco è semplice, per farlo occorrono un paio di occhi e due mani. I primi mi insegnano ad osservare e ad apprezzare. I secondi a destreggiare il rischio.

#1.

F+=! . . . . #illustration #illustrazione #drawing #draw #disegno #comics #design #piove #amano #pen

F+=!
.
.
.
.
#illustration #illustrazione #drawing #draw #disegno #comics #design #piove #amano #pennarelli #handmade #storie #watercolor #racconti #handraw #gallery #sketch #pantone #sketching #graphic #illustrate #pink #picoftheday #postcard #figure #poster #adobe #flowers #fiore
https://www.instagram.com/p/B1GFgf8Cn48/?igshid=1r1quy0h328i4


Post link
#motoscafo 4/150 // . . . . #diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #microracconti

#motoscafo
4/150 //
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #microracconti #potere #pensieri #mare #raccontibrevi #narrativa #frasi #brevi #storie #vacanze #frasi #poesia #cose #leggere #scrittura #persone #amori #vita #appunti #piccolecose #ricordi #politica
https://www.instagram.com/enrico_mb/p/BvGveGCFxaz/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1drinhkj1qpni


Post link
#11settembre4/150 // . . . . #diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #microraccon

#11settembre
4/150 //
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #microracconti #torrigemelle #illustrator #raccontibrevi #amori #brevi #storie #bambino #parola #infanzia #minima #narrativa #professore #frasi #poesia #cose #leggere #scrittura #persone #graphic #boh #vita #oggi #compitidellevacanze #ricordi #minimi
https://www.instagram.com/enrico_mb/p/BuooTPqFXz-/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=4xsymm0j7w2m


Post link
#conchiglie 3/150 // . . . . #diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #microracconti

#conchiglie 3/150 //
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #microracconti #illustrator #raccontibrevi #brevi #storie #bambino #infanzia #scuola #frasi #poesia #cose #leggere #scrittura #persone #graphic #boh #vita #stories #compitidellevacanze #ricordi (presso Castelfranco Veneto)
https://www.instagram.com/enrico_mb/p/Bub-td8h4XS/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=taunr8fgnr5w


Post link
#viaggio 2/150 // . . . . #diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #storie #addio #m

#viaggio 2/150 //
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #parole #racconti #pensieri #storie #addio #moglie #frasi #poesia #cose #leggere #persone #graphic #boh #vita #compitidellevacanze
https://www.instagram.com/enrico_mb/p/BuOtgrElydI/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=u23dk0sg9hhq


Post link
1/3 . . . . . #illustration #illustrazione #draw #racconti #drawing #comics #pic #adobe #design #doo

1/3
.
.
.
.
.
#illustration #illustrazione #draw #racconti #drawing #comics #pic #adobe #design #doodle #gallery #diario #pensieri #digitalillustration #disegno #sketching #sketch #graphic #icon #illustrate #figure #posterdesign #illustração #vectorial #retro #illustrationoftheday #minimal #print #music
https://www.instagram.com/p/CQg5d4ntjPd/?utm_medium=tumblr


Post link
#filosofia . . . . . #diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #raccontibrevi #parole #pensie

#filosofia
.
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #raccontibrevi #parole #pensieri #microracconti #citazioni #storie #minimi #romanzi #aforismi #scrittura #ricordi #storielle #narrativa #leggere
https://www.instagram.com/p/CH-7ftLF2Cb/?igshid=1byznz8mxf0cw


Post link
#cocktailparty . . . . . #diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #coppie #raccontibrevi #pa

#cocktailparty
.
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #coppie #raccontibrevi #parole #pensieri #microracconti #citazioni #storie #minimi #romanzi #aforismi #scrittura #ricordi #storielle #narrativa #leggere
https://www.instagram.com/p/CHAJ6_wl4uM/?igshid=3fowvyof9ptb


Post link
// + . . . . . #illustration #illustrazione #draw #racconti #drawing #comics #pic #adobe #design #do

// +
.
.
.
.
.
#illustration #illustrazione #draw #racconti #drawing #comics #pic #adobe #design #doodle #gallery #diario #pensieri #digitalillustration #disegno #sketching #sketch #graphic #icon #illustrate #figure #posterdesign #illustração #vectorial #retro #illustrationoftheday #minimal #print #music
https://www.instagram.com/p/CEmk_BNlQLn/?igshid=pum33kq3odq


Post link
#scegliere . . . . . #diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #coppie #raccontibrevi #parole

#scegliere
.
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #coppie #raccontibrevi #parole #pensieri #microracconti #citazioni #storie #maggio #romanzi #aforismi #scrittura #ricordi #storielle #narrativa #leggere
https://www.instagram.com/p/CA2K8v8h91W/?igshid=181hv6z9hkqtv


Post link
#vacanze . . . . . . #diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #estate #raccontibrevi #parole

#vacanze
.
.
.
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #racconti #racconto #estate #raccontibrevi #parole #pensieri #microracconti #citazioni #storie #natale #romanzi #aforismi #scrittura #ricordi #storielle #narrativa #leggere
https://www.instagram.com/p/B8n4xgmClmL/?igshid=pqha63zf0qos


Post link
#segreti . . . #diariodituttelecose #diario #racconti #regalo #raccontibrevi #parole #pensieri #teso

#segreti
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #racconti #regalo #raccontibrevi #parole #pensieri #tesori_italiani #microracconti #citazioni #storie #natale #romanzi #aforismi #scrittura #ricordi #oggi #narrativa #leggere
https://www.instagram.com/p/B31bdw6i_66/?igshid=ns531au1o6wf


Post link
#giochi . . . #diariodituttelecose #diario #racconti #raccontibrevi #parole #pensieri #coppie #micro

#giochi
.
.
.
#diariodituttelecose #diario #racconti #raccontibrevi #parole #pensieri #coppie #microracconti #citazioni #storie #amore #romanzi #aforismi #scrittura #ricordi #oggi #narrativa #leggere
https://www.instagram.com/p/B31bFM_C2lS/?igshid=xdekasa2mytg


Post link

E’ da un po’ che non mi chiedete più niente! Potete farlo usando questo form, anche in forma anonima!

Se poi volete sottomettere un racconto o una storia, anche in questo caso c’è la pagina apposita! Se volete restare anonimi anche come scrittori di un racconto, allora inviatemelo come domanda aninima, oppure scrivete all’inizio della vostra storia che non volete che il vostro nome utente compaia: verrete accontentati!

Ti ho detto che me ne sarei andata

e tu non hai fatto nulla,

non hai detto una parola.

Non ne sono mai valsa pena.

-Stillhere24

Una lunga favola triste

Vi voglio raccontare una favola. È tratta da una storia vera, quella di un mio amico e di sua moglie che, per qualche giorno, sono stati in assoluto gli esseri più felici di questo pazzo mondo. Dopo essersi goduti la vita senza figli, dedicandosi a loro stessi e ai loro interessi, ad un certo punto hanno deciso che valeva la pena provare ad averne. Dopotutto, si sono detti, da due con la nostra etica ed i nostri valori magari viene fuori qualcosa di buono, no? Così, hanno iniziato con quella che, statistiche alla mano, avrebbe dovuto essere una lunga serie di tentativi, considerata l'età. Guess what? Centro al primo colpo! E la favola potrebbe anche iniziare qui, con un test di gravidanza ed un'emozione difficile da descrivere e superata soltanto da quella relativa alla prima ecografia che ha certificato una presenza fisica, ancorché minuscola. Hanno aspettato che arrivasse il Natale per comunicarlo in famiglia, e del resto quale regalo più bello che un annuncio del genere? Wow, che Natale magnifico, ha pensato il mio amico guardando i presenti così felici per lui, per sua moglie e per quel momento troppo bello per essere vero. E infatti il destino ci ha messo lo zampino. O meglio, ci ha ficcato gli artigli e ha scarnificato la gioia per banchettare con ciò che ne restava. Ricordate, si trattava di una favola triste. Ebbene dopo Natale la narrazione di questa storia diventa una serie di fotogrammi di un piccolo e angosciante film a basso budget. Ci sono delle perdite ematiche. C'è una corsa al pronto soccorso. C'è spazio per un po’ di speranza. C'è ancora il battito. C'è quel cosino lungo appena qualche millimetro che sta ancora lì al suo posto. Ma poi passa un giorno, ne passa un altro, ne vola via un altro ancora in mezzo a palate di ansia che lasciamo perdere. E arriva l'ultimo dell'anno, una visita concordata. C'è una ginecologa antipatica. C'è un'immagine sfuocata. C'è ancora il fagiolino. E, di nuovo, c'è un effimero barlume di speranza. Quel che invece non c'è sapete cos'è? Il battito. Un'assenza che rima con sentenza. E la sera, mentre tutti festeggiano, mentre la gente si scambia gli auguri, la moglie del mio amico va incontro all'inevitabile. Fuori infuriano i botti, dentro di lei si consuma quel poco che restava di un sogno. Lui, adesso, a distanza di qualche giorno, non fa che piangere per la crudeltà di un fato bastardo più che beffardo. Piange quando va a gettare l'immondizia, piange sotto la doccia, piange mentre lava i piatti, piange in silenzio la notte, quando si sveglia col dubbio che si sia trattato solo di un incubo ma si accorge che non è così. Si sente all'improvviso invecchiato, incattivito, è irritabile e soffre come non credeva di poter soffrire. Lei invece è forte, o almeno è riuscita a farsi forza dopo aver a sua volta pianto e patito il dolore fisico assieme a quello psicologico. È stata male, ha pianto e si è sfogata. A differenza di lui, che nel quotidiano sbraita e s'incazza di continuo, ha davvero carattere ed ha saputo già riprendersi, o comunque si è rimessa in piedi e riesce ad essergli addirittura di sostegno. Dal pozzo di disperazione nel quale egli è precipitato non può che ammirarla. Lo sa che c'è chi sta peggio ma al momento non gliene frega niente, che crepino pure sotto ai suoi occhi, che vadano al diavolo, odia tutti quanti. Tranne lei. Lei la ama più che mai, si accorge che se non è ancora del tutto impazzito è merito suo. Ecco come finisce questa favola, con una donna che offre il meglio di sé in un periodo difficile ed un uomo spezzato, schiacciato, travolto, sopraffatto da eventi che non sa come combattere. Nudo e disarmato di fronte al materializzarsi delle proprie paure, guarda i frammenti del suo mondo chiedendosi quando riuscirà a rimetterli insieme. Sa che verrà il giorno in cui sarà di nuovo capace di ridere, di star bene, ma quel giorno sembra lontano e a lui non restano che lo strazio per quel che ha perso e l'amore per ciò che ancora ha. E questa, signore e signori, è la fine della favola triste che volevo raccontarvi. Sipario.

(The Enchanted Village, 1950)
Di A. E. van Vogt

«Esploratori di una nuova frontiera» erano stati chiamati, prima che partissero per Marte.

Per un po’, dopo che la nave si era schiantata nel deserto marziano, uccidendo tutti a bordo salvo - miracolosamente - quell'unico uomo, Bill Jenner continuò a vomitare quelle parole di tanto in tanto, al vento costante, carico di sabbia.

Bill Jenner disprezzava se stesso per l'orgoglio che aveva provato quando le aveva udite per la prima volta.

Ma la sua collera sbiadiva ad ogni miglio che percorreva, e il suo cupo rosseggiante dolore per gli amici perduti divenne una grigia sofferenza. Lentamente si rese conto di aver valutato ogni cosa in maniera rovinosamente sbagliata.

Aveva sottovalutato la velocità alla quale la nave a razzo viaggiava. Aveva calcolato di dover camminare per trecento miglia per raggiungere il basso mare polare che lui e gli altri avevano osservato mentre arrivavano planando dallo spazio esterno. In realtà, la nave doveva aver percorso fulmineamente una distanza immensamente maggiore prima di precipitare al di fuori d'ogni controllo.

I giorni si perdevano dietro di lui, all'apparenza incalcolabili, come quelle sabbie aliene, rosse e roventi, che lo bruciavano attraverso gli indumenti ridotti a brandelli. Quello spaventapasseri, cui si era ridotto un uomo, continuava ad avanzare attraverso l'interminabile, arida distesa… ma non era disposto ad arrendersi.

Quando arrivò alle montagne, il suo cibo era ormai finito da molto tempo. Dei suoi quattro contenitori d'acqua, gliene rimaneva uno soltanto, e quello era talmente vicino a vuotarsi del tutto, che lui si limitava soltanto a inumidire le labbra screpolate e la lingua rigonfia tutte le volte che la sete diveniva insopportabile.

Jenner si era arrampicato in alto, prima di rendersi conto che quella che gli sbarrava la strada non era semplicemente un'altra duna. Fece una sosta, e mentre guardava la montagna che torreggiava sopra di lui, provò un tuffo al cuore. Per un attimo provò la disperata inutilità di quella sua folle corsa verso il nulla… ma raggiunse ugualmente la cima. Vide che sotto di lui c'era una depressione circondata da altre montagne, alte quanto quella sulla quale si trovava, o anche di più. E annidato tra le montagne che formavano la valle c'era un villaggio.

Poteva vedere gli alberi e il pavimento di marmo d'un cortile. Una ventina di edifici erano raccolti intorno a quella che sembrava una piazza centrale. Erano per la maggior parte bassi, ma c'erano quattro torri che svettavano graziosamente verso il cielo.

Debole arrivò alle orecchie di Jenner un fischio acuto e sottile. Crebbe, diminuì, scomparve del tutto, poi si levò un'altra volta, alto e sgradevole. Proprio mentre Jenner si precipitava verso di esso, il fischio gli raschiò le orecchie, arcano e innaturale.

Jenner continuava a scivolare sulla roccia levigata, riempiendosi di lividi tutte le volte che cadeva. Fece metà del percorso, giù verso la valle, ruzzolando. Gli edifici apparivano nuovi e luminosi anche visti da vicino. Le loro mura balenavano di riflessi. Su ogni lato c'era vegetazione - macchie di arbusti verde-rossastri, alberi giallo-verdi carichi di frutti rossi e purpurei.

Mentre la fame gli ruggiva nello stomaco, Jenner si diresse verso il più vicino albero da frutta. Visto da poca distanza l'albero aveva un aspetto secco, friabile. Comunque, il grosso frutto rosso che strappò dal ramo più basso era turgido e succoso.

Mentre lo portava alla bocca, Jenner ricordò di essere stato avvertito - durante il suo periodo di addestramento - di non assaggiare niente su Marte fino a quando non fosse stato analizzato chimicamente. Ma quello era un consiglio privo di senso per un uomo il cui equipaggiamento chimico era rappresentato solo dal suo corpo.

Tuttavia, la possibilità d'un pericolo lo rese cauto. Diede il primo morso con estrema cautela. Lo sentì amaro sulla lingua e si affrettò a sputare il boccone. Un po’ del succo che gli era rimasto in bocca gli bruciò le gengive. Ne sentì il fuoco, e barcollò colto dalla nausea. I suoi muscoli presero a contrarsi spasmodicamente; fu costretto a distendersi sul marmo per impedirsi di cadere. Dopo quelle che a Jenner parvero ore, lo spaventoso tremore lasciò d'un tratto il suo corpo e la vista gli ritornò.

Alla fine il dolore lo lasciò, e lentamente poté rilassarsi. Una lieve brezza fece frusciare le foglie secche. Gli alberi vicini risposero a quel lieve fruscio, e Jenner fu colpito dal fatto che laggiù nella valle era soltanto un sussurro rispetto a quello che aveva soffiato sulla pianura desertica oltre il cerchio delle montagne.

Adesso, non c'era più nessun suono. D'un tratto Jenner ricordò il fischio acuto continuamente mutevole che aveva udito prima. Giacque lì immobile, tendendo l'orecchio: ma intorno a lui c'era soltanto l'occasionale fruscio delle foglie. Quell'acuto, sgradevole stridio era cessato. Si chiese se non fosse stato un segnale d'allarme per avvertire gli abitanti del villaggio del suo avvicinarsi.

Colto dall'ansia, si alzò in piedi e si frugò addosso cercando la pistola. Una sensazione di disastro lo percorse come una scossa elettrica. La pistola non c'era più. La sua mente era vuota, poi ricordò vagamente di averla persa più d'una settimana prima. Si guardò intorno, inquieto, ma non c'era alcun segno di creature viventi. Fece appello alle proprie forze. Non poteva andarsene, poiché non c'era nessun posto dove andare. Se fosse stato necessario, avrebbe lottato fino alla morte per rimanere nel villaggio.

Con molta cautela, Jenner bevve un sorso dal contenitore dell'acqua, inumidendosi le labbra screpolate e la lingua gonfia. Poi riavvitò il tappo e riprese ad avanzare attraverso il doppio filare di alberi verso l'edificio più vicino. Descrisse un ampio cerchio per osservarlo da parecchi punti diversi. Su un lato un arco ampio e basso si apriva sull'interno. Attraverso l'arco riuscì a stento a distinguere il lucido riflesso d'un pavimento di marmo.

Jenner esplorò gli edifici da fuori, sempre mantenendo una riguardosa distanza fra sé e un qualunque ingresso. Non vide nessun segno di vita animale. Raggiunse il lato più lontano della piattaforma di marmo sulla quale il villaggio era costruito, poi tornò indietro con passo deciso. Era giunto il momento di esplorare gli interni.

Scelse uno dei quattro edifici a forma di torre. Quando arrivò a circa quattro metri da esso, si avvide che avrebbe dovuto chinarsi per entrare.

Per un attimo, le implicazioni di questo fatto lo fecero fermare. Quegli edifici erano stati costruiti per una forma di vita che doveva essere molto diversa da quella umana.

Riprese ad avanzare, si chinò ed entrò con riluttanza nell'edificio. Ogni muscolo del suo corpo era sotto tensione.

Si trovò in una stanza senza mobili. Tuttavia c'erano parecchie basse recinzioni di marmo che sporgevano da una parete ugualmente di marmo. Formavano un gruppo di scomparti larghi e bassi. E ogni scomparto aveva una sorta di truogolo scavato direttamente nel pavimento.

Nella seconda camera c'erano quattro piani inclinati di marmo, ognuno dei quali saliva fino a una piattaforma. Complessivamente c'erano quattro stanze, al pianterreno. Da una di esse una rampa circolare saliva di sopra, e sembrava condurre ad altre stanze su nella torre.

Jenner non esplorò il piano di sopra. L'iniziale paura di trovarsi faccia a faccia con una forma di vita aliena stava cedendo alla terrificante convinzione che non ne avrebbe trovata nessuna. Se non c'era nessuna forma di vita, questo significava che non c'era cibo o la possibilità di ottenerne. Colto da una fretta angosciosa, cominciò a correre da un edificio all'altro, gettando occhiate dentro le stanze silenziose, soffermandosi di tanto in tanto a lanciare richiami con voce rauca.

Alla fine non ebbe più nessun dubbio: era del tutto solo in un villaggio deserto su un pianeta senza vita, senza cibo, senz'acqua - salvo per la misera riserva nel suo contenitore - e senza speranza.

Si trovava nella quarta e più piccola stanza di uno degli edifici dalla torre, quando si rese conto di essere arrivato alla fine della sua ricerca. La stanza aveva un unico scomparto che sporgeva da una parete. Jenner, esausto, vi si distese. Doveva essersi addormentato all'istante.

Quando si svegliò fu subito conscio di due cose in rapida successione. La prima constatazione avvenne prima che aprisse gli occhi: il sibilo era tornato: alto e acuto, ondeggiava sulla soglia dell'udibilità.

La seconda fu che un sottile spruzzo di liquido veniva diretto verso di lui dal soffitto. Aveva un odore, sì, al quale lo specialista Jenner diede una sola annusata, prima di balzar fuori dalla stanza di corsa, tossendo, con gli occhi che gli lacrimavano, il volto che già gli bruciava per la reazione chimica. Agguantò il fazzoletto e prese a ripulirsi in fretta le parti esposte del viso e del corpo.

Si calmò un poco soltanto quando fu all'esterno, cercando affannosamente di capire cosa fosse successo.

Il villaggio pareva immutato.

Le foglie tremolavano ancora scosse da una lieve brezza. Il sole pareva in equilibrio sulla vetta di una montagna. Dalla sua posizione Jenner intuì che era di nuovo mattina e che lui doveva aver dormito una dozzina di ore. La luminosità bianca e vitrea avvolgeva tutta la valle. Seminascosti dagli alberi e dagli arbusti gli edifici riflettevano sprazzi di luce e parevano ondeggiare.

Quella, doveva essere un'oasi nello sconfinato deserto. Sì, era proprio un'oasi, rifletté cupamente Jenner, ma non per un essere umano. Per lui, con la sua frutta velenosa, assomigliava assai più a un miraggio… al supplizio di Tantalo.

Ritornò nell'edificio da cui era uscito e sbirciò cautamente all'interno della stanza in cui aveva dormito. Lo spruzzo del liquido acre era cessato. Non rimaneva la più piccola traccia di odore, e l'aria era fresca e pulita.

Attraversò la soglia con grande cautela, con la mezza intenzione di fare una prova. Gli era venuta in mente l'immagine d'una creatura marziana morta da molto tempo, distesa pigramente sul fondo dello scomparto, mentre una sostanza chimica rinfrescante le cospargeva il corpo. Il fatto che quella sostanza chimica fosse micidiale per gli uomini non faceva altro che sottolineare quanto fosse aliena, per l'uomo, la vita che era sorta su Marte. Ma pareva che vi fossero pochi dubbi sul motivo di quella pioggia del liquido acre: la creatura era abituata a farsi una doccia mattutina.

All'interno del «bagno», Jenner si calò dentro lo scomparto cominciando dai piedi. Quando vi ebbe infilato tutte le gambe fino ai fianchi, dal soffitto in apparenza compatto giunse uno spruzzo d'un liquido volatile, giallastro, che gli irrorò il corpo. In tutta fretta Jenner si tirò fuor dallo scomparto. Il getto cessò con la stessa repentinità con cui era cominciato.

Provò un'altra volta, per essere davvero sicuro che si trattasse d'un procedimento automatico. Il getto entrò in funzione, poi si spense.

Le labbra gonfie per la sete di Jenner si schiusero per l'eccitazione. «Se c'è un procedimento automatico» pensò, «potrebbero essercene degli altri».

Respirando affannosamente corse nella stanza esterna. Con cautela spinse le gambe dentro uno dei due scomparti. Nell'istante in cui i suoi fianchi furono all'interno, una brodaglia fumante riempì il truogolo accanto alla parete.

Jenner fissò quella roba untuosa affascinato e inorridito - cibo… e anche bevanda. Ricordò il frutto velenoso, e provò ripugnanza, ma si costrinse a chinarsi e a infilare un dito in quella sostanza calda e umida. Lo portò poi gocciolante alla bocca. Era quasi senza sapore, e aveva la consistenza di fibra di legno bollita. Gli colò vischiosa sul collo. Gli occhi cominciarono a lacrimargli e le labbra gli si ritrassero convulsamente. Si rese conto che stava per sentirsi male, e corse verso la porta esterna… ma non riuscì ad arrivare in tempo.

Quando finalmente si trovò fuori, si sentiva molle e indicibilmente snervato. In quello stato mentale, depresso, si accorse di nuovo del fischio acuto.

Si stupì di aver potuto ignorare quello stridulo raschiare anche per pochi minuti. Scrutò intorno a sé cercando di stabilirne l'origine, ma non pareva averne nessuna. Tutte le volte che lui si avvicinava a un punto dove il sibilo pareva più intenso, questo si attenuava o si spostava, magari sul lato più lontano del villaggio. Cercò d'immaginare cosa potesse volere una cultura aliena da un suono come quello, capace di frantumare la mente… anche se, naturalmente, non era detto che per loro fosse necessariamente spiacevole.

Si fermò e fece schioccare le dita mentre un'idea assurda, ma nondimeno plausibile, gli si formava in testa. Poteva esser musica!

Si baloccò con quell'idea, cercando d'immaginarsi il villaggio come doveva essere stato molto tempo prima. Era possibile che qui un popolo amante della musica avesse svolto i propri compiti giornalieri con l'accompagnamento di quello che per loro doveva essere stato un meraviglioso tema musicale…

Quell'orrendo sibilo raschiante continuò interminabile, aumentando e calando. Jenner cercò di frapporre degli edifici fra sé e quel suono. Cercò rifugio in varie stanze, sperando che almeno una fosse a prova di suono. Nessuna lo era. Il fischio lo seguiva dovunque andasse.

Si ritirò nel deserto e dovette arrampicarsi fino alla metà di uno dei pendii prima che il fischio fosse abbastanza basso da non dargli più nessun fastidio. Alla fine, senza fiato, ma infinitamente sollevato, si lasciò cadere sulla sabbia e pensò con la mente vuota: E adesso?

La scena che si stendeva davanti a lui aveva in sé le qualità sia del paradiso che dell'inferno. Adesso gli era perfino troppo familiare: le sabbie rosse, le dune petrose, il piccolo villaggio alieno che prometteva tanto e dava così poco.

Jenner abbassò lo sguardo su di essi con gli occhi febbricitanti e si passò la lingua disseccata sulle labbra screpolate e aride. Sapeva di essere un uomo morto, a meno che non fosse riuscito ad alterare le macchine automatiche che producevano il cibo e dovevano essere nascoste da qualche parte dentro le pareti e sotto i pavimenti degli edifici.

Nei tempi antichi, uno scampolo di civiltà marziana doveva essere sopravvissuto laggiù, in quel villaggio. Gli abitanti erano morti, ma il villaggio era sopravvissuto, tenendosi sgombro dalle sabbie, in grado di offrire rifugio a qualsiasi marziano vi fosse arrivato. Ma non c'erano più marziani. C'era soltanto Bill Jenner, pilota della prima nave a razzo mai atterrata su Marte.

Doveva assolutamente indurre il villaggio a produrre cibo e bevande che lui fosse in grado di assimilare. Senza strumenti, salvo le sue mani, con quasi nessuna conoscenza di chimica, doveva costringerlo a cambiare le sue abitudini.

In preda a una viva tensione sollevò il contenitore d'acqua. Bevette un altro sorso e combatté la stessa cupa lotta per impedirsi d'inghiottire fino all'ultima goccia. E una volta che ebbe vinto questa nuova battaglia, si alzò in piedi e cominciò a scendere il pendio.

Calcolò che avrebbe potuto tener duro non più di tre giorni. Questo, e non più, era il periodo di cui disponeva per conquistare il villaggio.

Si trovava già fra gli alberi, quando d'un tratto si rese conto che la «musica» era cessata. Sollevato, si chinò sopra un piccolo arbusto, lo afferrò saldamente… e tirò.

L'arbusto venne via facilmente, e un frammento di marmo rimase attaccato ad esso. Jenner lo fissò, constatando, con viva sorpresa, di essersi sbagliato pensando che la pianta semplicemente sbucasse fuori attraverso un buco del marmo. No, l'arbusto era appiccicato alla sua superficie. Poi, notò qualcos'altro: l'arbusto non aveva radici. Quasi istintivamente, Jenner guardò giù verso il punto dal quale aveva strappato il pezzo di marmo insieme alla pianta. Là c'era sabbia.

Lasciò cadere l'arbusto, si lasciò scivolare sulle ginocchia e affondò le dita nella sabbia. La sabbia smossa fluì tra esse. Jenner tornò ad affondare le dita in profondità, usando tutte le sue forze per costringere il braccio e la mano a scendere il più possibile, c'era sabbia, soltanto sabbia.

Si alzò in piedi e freneticamente strappò un altro arbusto. Anche questo venne via facilmente, portando con sé un frammento di marmo. Non aveva radici e là sotto, dov'era stato fino a un attimo prima. C'era soltanto sabbia.

Colto da una sorta d'irriflessiva incredulità, Jenner corse accanto a un albero di frutta e gli diede uno strattone. Vi fu una momentanea resistenza, e poi il marmo sul quale si ergeva si ruppe, sollevandosi lentamente in aria. L'albero si abbatté al suolo con un sibilo e un crepitio quando i suoi rami e le foglie secche si ruppero andando in mille frantumi. Sotto al punto dove si era trovato, c'era sabbia.

Sabbia dappertutto. Una città costruita sulla sabbia. Marte, pianeta di sabbia. Questo non era completamente vero, naturalmente. Una vegetazione stagionale era stata osservata vicino alle calotte polari. Però con l'avvento dell'estate soltanto la più resistente riusciva in qualche modo a sopravvivere. Nelle intenzioni, la nave a razzo avrebbe dovuto atterrare accanto ad uno di quei mari bassi e privi di maree.

Venendo giù priva di controllo, la nave aveva distrutto qualcosa di più di se stessa. Aveva distrutto la possibilità di vita dell'unico sopravvissuto al viaggio.

Jenner uscì lentamente dal suo stupore. Poi gli venne in mente una cosa. Raccolse uno degli arbusti che aveva già strappato, puntò i piedi contro il marmo al quale era attaccato, e tirò, dapprima con delicatezza, poi con forza crescente.

Finalmente il frammento di marmo venne via, ma non c'erano dubbi che i due facevano parte d'un tutto. L'arbusto cresceva dal marmo.

Marmo. Jenner s'inginocchiò accanto a uno dei fori da cui aveva strappato un pezzo di marmo, e si chinò sopra una sezione adiacente. Era molto porosa - roccia calcarea con tutta probabilità, ma niente affatto autentico marmo. Quando allungò la mano verso di essa, con l'intenzione di staccarne un pezzetto, la sezione cambiò colore. Stupefatto, Jenner ritrasse la mano. Intorno alla spaccatura la pietra stava diventando d'un vivido color arancio. Jenner la studiò, incerto, poi si azzardò a toccarla.

Fu come se avesse affondato le dita in un acido cauterizzante. Provò un dolore acuto, pungente e bruciante. Con un rantolo, Jenner sobbalzò e ritrasse di scatto la mano.

Quell'intensa, implacabile sofferenza lo fece sentir debole. Barcollò e gemette, stringendo le dita ferite al corpo. Quando finalmente la sofferenza cessò, e poté dare un'occhiata alle dita, vide che la pelle si era staccata e già si erano formate delle vesciche sanguinolente. Con aria cupa Jenner fissò la spaccatura nella pietra. I bordi erano rimasti di un arancio brillante.

Il villaggio era sul chi-vive, pronto a difendersi da ulteriori aggressioni. D'un tratto, esausto, Jenner strisciò fino all'ombra di un albero. C'era una sola possibile conclusione da trarre, da ciò che era successo, e quasi sfidava il senso comune. Quel villaggio solitario era vivo.

Mentre giaceva lì, Jenner cercò d'immaginare una grande massa di sostanza vivente che cresceva assumendo la forma di edifici, che si modificava per adattarsi a un'altra forma di vita, accettando il ruolo di servitore nel più ampio significato della parola.

Ma se era pronta a servire una razza, perché non avrebbe potuto fare la stessa cosa con un'altra? Se aveva potuto adattarsi ai marziani, perché non avrebbe potuto farlo con gli esseri umani?

Ci sarebbero state difficoltà, naturalmente. Immaginò, con un sospiro di stanchezza, che certi elementi essenziali non sarebbero stati disponibili. L'ossigeno per l'acqua avrebbe potuto essere estratto dall'atmosfera… migliaia di composti potevano venir prodotti con gli elementi della sabbia… Ma anche se per lui avrebbe voluto dire la morte, se non fosse riuscito a trovare una soluzione, piombò nel sonno proprio mentre pensava quale mai essa avrebbe potuto essere.

Quando si svegliò era buio pesto.

Jenner si alzò, a fatica, in piedi. Sentì un'insolita tensione ai muscoli che lo mise in allarme. S'inumidì le labbra con una goccia d'acqua del contenitore, e si avviò barcollando verso l'ingresso dell'edificio più vicino. Salvo per il raschiare delle sue scarpe sul «marmo», il silenzio gravava pesante su ogni cosa.

Si fermò di botto, ascoltò e guardò. Il vento era cessato. Non riusciva a vedere le montagne che cingevano la valle, ma gli edifici erano ancora vagamente visibili, ombre nere in un mondo di ombre.

Per la prima volta gli parve che, malgrado la sua nuova speranza, forse sarebbe stato meglio se fosse morto. Anche se fosse sopravvissuto, cosa mai poteva aspettarsi? Ricordava fin troppo bene quant'era stato difficile suscitare interesse per quel viaggio e raccogliere l'ingente somma di denaro richiesta. Ricordava i colossali problemi che era stato necessario risolvere per costruire la nave, e alcuni degli uomini che li avevano risolti erano sepolti in qualche punto imprecisato del deserto marziano.

Avrebbero potuto passare altri vent'anni prima che un'altra nave tentasse di raggiungere dalla Terra il solo pianeta del sistema solare che aveva dato segni di poter sostenere la vita.

Durante quegli incalcolabili giorni e notti, durante tutti quegli anni, sarebbe rimasto lì solo. Quello era il massimo che poteva sperare… se fosse sopravvissuto. Mentre si avvicinava con passo insicuro a una piattaforma dentro una delle stanze. Jenner considerò un altro problema: come si faceva a informare un villaggio vivente che avrebbe dovuto alterare i propri processi? In un certo senso, il villaggio doveva aver già capito che aveva un nuovo inquilino.

In che modo lui avrebbe potuto fargli capire che aveva bisogno di cibo di una diversa composizione chimica rispetto a quella che aveva servito in passato; che gli piaceva, sì, la musica, ma con un'armonia del tutto diversa; e che ogni mattina una doccia gli avrebbe fatto piacere - ma di acqua, non di liquido volatile e corrosivo?

Si appisolò tra convulsi pensieri, e fu il sonno di un uomo ammalato. Si svegliò due volte, con le labbra in fiamme, gli occhi che gli bruciavano, il corpo inondato di sudore. Parecchie volte riprese conoscenza, sorpreso dal suono aspro della sua stessa voce che gridava contro la notte per la rabbia e la paura.

E indovinò, allora, che stava morendo.

Trascorse le lunghe ore del buio sussultando, contorcendosi, rigirandosi, intorpidito da continue ondate di calore. Quando arrivò la luce del mattino, fu vagamente sorpreso per il fatto di essere ancora vivo. In preda a una viva irrequietezza scese dalla piattaforma e andò all'ingresso.

Soffiava un vento gelido e pungente, che però diede un po’ di sollievo al suo volto arroventato. Si chiese se ci fossero abbastanza pneumococchi nel suo sangue da fargli prendere una polmonite. Decise di no.

Qualche istante dopo, cominciò a rabbrividire. Tornò all'interno della casa e per la prima volta osservò che, malgrado l'ingresso fosse privo di porta, il vento non s'ingolfava dentro l'edificio. Le stanze erano fredde, ma là dentro non c'erano correnti d'aria.

Ciò diede inizio dentro la sua mente a un'associazione d'idee: da dove era venuto quel terribile calore? Si avvicinò barcollando alla piattaforma sulla quale aveva trascorso la notte, e vi salì sopra. Pochi istanti dopo ansimava e sudava a causa d'una temperatura di cinquanta gradi e oltre.

Scese subito dalla piattaforma, scosso a causa della propria stupidità. Calcolò di aver spremuto fuori, su quel letto simile a una fornace, due o tre litri d'acqua dal suo corpo inaridito.

Quel villaggio non era per gli esseri umani. Qui, perfino i letti erano riscaldati per delle creature che avevano necessità di temperature molto superiori a quelle che gli uomini trovavano confortevoli.

Jenner passò la maggior parte della giornata all'ombra di un grande albero. Si sentiva esausto, e solo di tanto in tanto riusciva a ricordare che aveva un problema. Quando il rauco fischio ricominciò, a tutta prima provò fastidio, ma era troppo stanco per allontanarsi da esso. C'erano lunghi periodi durante i quali l'udiva appena, talmente erano offuscati i suoi sensi.

Quel pomeriggio sul tardi si ricordò degli arbusti e degli alberi che aveva strappato dal suolo il giorno prima e si chiese quale fine avessero fatto. S'inumidì la lingua gonfia con le ultime gocce d'acqua del suo contenitore, si tirò in qualche modo in piedi, e andò alla ricerca dei loro resti disseccati.

Non li trovò. Non riuscì neppure a ritrovare i fori che aveva fatto strappandoli. Il villaggio aveva assorbito il tessuto morto dentro di sé e aveva riparato ogni guasto subito dal suo «corpo».

Questo galvanizzò Jenner. Ricominciò a pensare a… sì, alle mutazioni, ai riadattamenti genetici, alle forme di vita che si adattavano a nuovi ambienti. C'erano state lezioni su questi argomenti prima che la nave lasciasse la Terra, discorsi piuttosto generici, ma in grado di mettere gli esploratori al corrente dei problemi che gli uomini avrebbero potuto incontrare su un pianeta alieno.

Il principio fondamentale era molto semplice: adattarsi o morire.

Il villaggio doveva adattarsi a lui. Dubitava di essere in grado di danneggiarlo seriamente, ma poteva sempre provarci. La sua necessità di sopravvivenza doveva esser posta su una base drastica e ostile quanto l'avversario che si trovava ad affrontare.

Freneticamente Jenner cominciò a frugarsi nelle tasche. Prima di lasciare la nave a razzo si era caricato di ogni genere di attrezzature portatili. Un coltello a serramanico, una tazza metallica pieghevole, una radio a microcircuiti stampati, una minuscola superbatteria che poteva essere ricaricata facendo girare una rotella inserita in essa… per questo aveva portato con sé, insieme ad altre cose, anche un potente accendino elettrico.

Jenner collegò la batteria all'accendino e grattò con l'estremità arroventata la superficie del «marmo». La reazione fu fulminea. Questa volta la sostanza divenne d'un rabbioso color purpureo. Quando un'ampia zona del pavimento ebbe cambiato colore, Jenner si diresse verso il più vicino scomparto munito di truogolo, entrandovi quel tanto che bastava ad attivarlo.

Vi fu un sensibile ritardo. Quando finalmente il cibo fluì a riempire il truogolo, fu chiaro che il villaggio vivente si era reso conto del motivo per cui lui aveva agito in quel modo. Il cibo era d'un pallido color crema, mentre in precedenza era sempre stato grigio scuro.

Jenner v'infilò dentro un dito, ma lo ritrasse con un urlo e se l'asciugò affannosamente. Il dito continuò a bruciargli per alquanti minuti. La domanda vitale era questa: il villaggio gli aveva deliberatamente offerto del cibo per lui mortale, oppure stava compiendo tentativi a caso per soddisfare la sua richiesta, senza sapere ciò che lui poteva mangiare?

Decise di dargli un'altra possibilità, ed entrò nello scomparto adiacente. Questa volta la materia granulosa che sgorgò fuori era più gialla. Non gli bruciò il dito, ma Jenner l'assaggiò una volta sola e la sputò. Ebbe la sensazione che gli fosse stata offerta una zuppa fatta d'un miscuglio untuoso di argilla e benzina.

Adesso aveva sete, e il suo bisogno era accentuato dallo spiacevole sapore che gli era rimasto in bocca. Disperato, corse fuori e fece a pezzi il contenitore dell'acqua, cercando la poca umidità ancora presente all'interno. Annaspando per la fretta, versò alcune gocce del prezioso liquido sul pavimento del cortile. Si stese bocconi per leccarle.

Mezzo minuto più tardi stava ancora leccando, e c'era ancora acqua.

Quel fatto fece improvvisamente breccia nella sua mente. Si rialzò e fissò meravigliato le gocce d'acqua che luccicavano sulla pietra liscia. Mentre guardava, un'altra goccia fu spremuta da quella superficie in apparenza solida, luccicando alla luce del sole al tramonto.

Jenner si chinò e con la punta della lingua succhiò ogni goccia visibile. Rimase molto a lungo con la bocca premuta contro il «marmo», suggendo ogni singola molecola d'acqua che il villaggio gli offriva.

Il bianco sole ardente scomparve dietro una montagna. Cadde la notte, e fu come se un nero sipario fosse calato. L'aria divenne fresca, poi ghiacciata. Jenner rabbrividì mentre il vento sibilava attraverso i suoi indumenti a brandelli. Ma ciò che alla fine lo costrinse a fermarsi fu il collasso della superficie dalla quale aveva bevuto.

Jenner si rialzò sorpreso, e nel buio tastò con cautela la pietra. Si era proprio sbriciolata. Era evidente che la sostanza aveva ceduto tutta l'acqua che aveva disponibile e nel far questo si era disintegrata. Calcolò di aver bevuto in tutto tre decilitri d'acqua.

Era una convincente dimostrazione della volontà del villaggio di fargli piacere, ma c'era anche un'altra implicazione, assai meno soddisfacente. Se il villaggio doveva distruggere una parte di se stesso tutte le volte che gli dava da bere, allora era chiaro che le scorte non erano illimitate.

Jenner entrò di corsa nell'edificio più vicino, salì su una piattaforma… e ne ridiscese subito in fretta quando il calore lo investì. Aspettò per dare a quell'intelligenza la possibilità di rendersi conto che lui voleva un cambiamento, poi tornò a distendersi. Il calore era intenso come prima.

Ci rinunciò, poiché era troppo stanco per insistere e troppo intorpidito per pensare a un modo che potesse far sapere al villaggio della sua necessità d'una temperatura assai più bassa in camera da letto. Dormì disteso sul pavimento con l'inquietante convinzione che il villaggio non potesse sostentarlo a lungo. Si svegliò molte volte durante la notte, pensando: «Non c'è abbastanza acqua. Non importa quanta buona volontà ci metta…» Ricadeva nel sonno e tornava ancora a svegliarsi, sempre più teso e infelice.

Tuttavia, la mattina dopo lo trovò, sia pure per breve tempo, pieno di vivacità: tutta la ferrea determinazione gli era tornata… quella volontà d'acciaio che l'aveva spinto per almeno cinquecento miglia attraverso un deserto sconosciuto.

Si diresse verso il truogolo più vicino. Questa volta, dopo che l'ebbe attivato, vi fu una pausa di più d'un minuto; poi all'incirca un quantitativo d'acqua pari sì e no a due dita in un bicchiere formò una macchia bagnata sul fondo.

Jenner la leccò fino a prosciugarla, poi aspettò pieno di speranza che ne arrivasse dell'altra. Quando l'acqua non ritornò, rifletté cupamente che da qualche parte nel villaggio un intero gruppo di cellule doveva essersi disgregato liberando l'acqua per lui.

Allora decise che toccava all'essere umano, in grado di muoversi, trovare una nuova sorgente d'acqua per il villaggio, che muoversi non poteva.

Nel frattempo, naturalmente, il villaggio avrebbe dovuto continuare a tenerlo in vita, fino a quando lui non avesse indagato tutte le possibilità. Ciò significava, al di sopra di ogni altra cosa, che lui doveva ricevere un po’ di cibo per tenersi in forze mentre si guardava intorno.

Cominciò a frugarsi in tasca. Quand'era giunto quasi alla fine della sua scorta di cibo, ne aveva conservato dei pezzetti avvolti in lembi di tessuto. Questi gli si erano sbriciolati nelle tasche e lui frugandovi spesso durante quei giorni nel deserto, ne aveva recuperato gran parte. Adesso, strappando anche le cuciture, riuscì a tirar fuori minuscoli frammenti di carne e biscotto, palline d'unto raggrumato e altre briciole inidentificabili.

Facendo molta attenzione si sporse sopra lo scomparto accanto a lui, e depositò quei frammenti dentro il truogolo all'interno. Il villaggio non sarebbe stato in grado di offrirgli niente più che un ragionevole facsimile. Se l'aver rovesciato poche gocce d'acqua sulla pavimentazione del cortile aveva potuto renderlo consapevole del suo bisogno d'acqua, allora un'offerta analoga poteva dargli l'indizio indispensabile per conoscere la natura chimica di ciò che lui poteva mangiare.

Jenner aspettò, poi entrò nel secondo scomparto e attivò anche questo. Circa mezzo litro d'una sostanza densa e cremosa sgorgò sul fondo del truogolo. La scarsa quantità pareva dimostrare che forse conteneva dell'acqua.

L'assaggiò. Aveva un pungente sapore di muffa e di stantio. Ed era asciutta, quasi come farina… ma il suo stomaco non la rifiutò.

Jenner mangiò lentamente, acutamente conscio che in momenti come quelli il villaggio lo aveva alla sua mercé. Lui non poteva in nessun modo esser sicuro che uno degli ingredienti del cibo non fosse un veleno ad azione lenta.

Quand'ebbe terminato di mangiare, andò a uno dei truogoli di un altro edificio. Si rifiutò di mangiare il cibo che venne fuori, ma attivò un altro truogolo ancora. Questa volta ottenne poche gocce d'acqua.

Era andato di proposito in uno degli edifici a forma di torre. Adesso cominciò a salire la rampa che conduceva al piano di sopra. Si fermò solo brevemente nella stanza in cui arrivò, siccome aveva scoperto che si trattava di camere per dormire supplementari. C'erano le consuete piattaforme, in un gruppo di tre.

Quello che l'interessò di più fu la constatazione che la rampa circolare continuava a salire verso l'alto. Prima, la rampa lo condusse a una stanza piccola, la quale non pareva avere nessun motivo particolare per esistere. Poi la rampa riprendeva a salire fino alla cima della torre, a oltre venti metri dal livello del suolo. La torre era abbastanza alta da consentirgli di vedere al di là dei rilievi circostanti. Si era già convinto che fosse così, ma finora era stato troppo debole per intraprendere quella salita. Adesso, aguzzò gli occhi in ogni direzione verso l'orizzonte. Quasi subito la speranza che l'aveva condotto fin lassù scomparve.

Lo spettacolo era di un'indicibile desolazione. Fin dove poteva spaziare con lo sguardo, vedeva una distesa arida, e la sabbia alzata dal vento cancellava dovunque la linea divisoria fra la terra e il cielo.

Jenner fissò la scena con un soffocante senso di disperazione. Se anche là fuori, da qualche parte, c'era un mare marziano, era al di là delle sue possibilità raggiungerlo.

Strinse i pugni, infuriandosi contro il suo destino che adesso appariva inevitabile. Aveva sperato, nella peggiore delle ipotesi, di trovarsi in una regione montagnosa. I mari e le montagne erano di solito le due fonti principali di acqua. Avrebbe dovuto sapere, naturalmente, che c'erano ben poche montagne su Marte. Sarebbe stata una ben straordinaria coincidenza se si fosse imbattuto in una vera catena montagnosa. La sua collera si smorzò, poiché non aveva forze sufficienti a sostenere una qualunque emozione. In preda a un crescente torpore ridiscese la rampa.

E qui, il suo vago progetto di aiutare il villaggio ad adattarsi a lui ebbe fine.

I giorni passarono, ma di quanti fossero non aveva la più vaga idea. Tutte le volte che andava a mangiare gli veniva elemosinata una quantità di acqua sempre più piccola. Jenner continuava a dirsi che ogni suo pasto sarebbe stato l'ultimo. Era irragionevole da parte sua aspettarsi che il villaggio si autodistruggesse, quando il suo destino era una cosa certa.

E, peggio ancora, stava diventando sempre più chiaro che il cibo non era buono per lui. Aveva fuorviato il villaggio circa i suoi effettivi bisogni, fornendogli dei campioni stantii, forse perfino guasti, prolungando così la propria agonia. A volte, dopo aver mangiato, Jenner si sentiva stordito per ore. Con troppa frequenza, la testa gli faceva male e il suo corpo tremava per la febbre.

Il villaggio faceva quello che poteva. Il resto toccava a lui, ma lui non poteva adattarsi a una imitazione del cibo terrestre.

Per due giorni stette troppo male perfino per avvicinarsi a uno dei truogoli. Per ore e ore giacque sul pavimento. A un certo punto della seconda notte il dolore del suo corpo divenne così tremendo che prese una disperata decisione.

«Se riuscissi ad arrivare a una piattaforma» si disse, «basterà il calore ad uccidermi. E il villaggio, nell'assorbire il mio corpo, riavrà una parte dell'acqua che ha perso».

Impiegò quasi un'ora a strisciare laboriosamente su per la rampa della più vicina piattaforma, e quando alla fine ci fu riuscito, giacque immobile come qualcuno già morto. Il suo ultimo pensiero cosciente fu: «Carissimi amici… sto arrivando».

L'illusione fu così perfetta che gli parve, per qualche istante, di essere tornato nella cabina di comando della nave a razzo, e tutt'intorno a lui c'erano i suoi compagni di un tempo.

Con un sospiro di sollievo Jenner sprofondò in un sonno senza sogni.

Si risvegliò al suono d'un violino. Era una musica dolce e malinconica che parlava dell'ascesa e della caduta d'una razza da lungo tempo estinta.

Jenner ascoltò per un po’, quindi, con un'improvvisa eccitazione, si rese conto della verità. Quello… era il fischio, incredibilmente cambiato. Il villaggio aveva adattato a lui la sua musica!

Altri fenomeni sensoriali s'insinuarono gradatamente dentro di lui. Il calore esalato dalla piattaforma gli parve piacevole, niente affatto bruciante. Provò la sensazione d'un meraviglioso benessere fisico. Con vivo entusiasmo ridiscese la rampa e si avvicinò al più vicino scomparto per il cibo. Mentre strisciava in avanti col naso vicino al fondo, il truogolo si riempì d'un miscuglio fumante. L'odore era così ricco e piacevole che vi affondò dentro la faccia e l'avidità con cui prese a nutrirsi glielo fece schizzare tutt'intorno. Aveva il sapore d'una zuppa densa e carnosa, ed era calda e appetitosa per le labbra e la lingua. Quando l'ebbe inghiottita tutta, per la prima volta non sentì il bisogno di bere acqua.

«Ho vinto!» pensò Jenner. «Il villaggio ha trovato il modo!»

Dopo un po’, si ricordò di qualcosa e strisciò fino alla stanza da bagno. Cautamente, tenendo d'occhio il soffitto, entrò nello scomparto della doccia, muovendosi a ritroso. Gli spruzzi gialli piovvero giù, freschi e deliziosi.

Estatico, Jenner agitò la sua coda lunga due metri e sollevò il lungo muso per consentire ai sottili getti di liquido di lavar via le impurità del cibo rimaste appiccicate ai suoi denti aguzzi.

Poi uscì fuori ancheggiando per crogiolarsi al sole e bearsi di quella musica senza tempo.

Gilda una mamma “curvy” sedotta

Questa è la storia di Gilda, una bella signora di 52 anni, leggermente formosa, alta con i capelli neri e leggermente ondulati. Gilda ha il fisico di una milf leggermente curvy, un po’ di fianchi larghi e sedere un po’ grosso e cadente, cosce belle grosse e tonde e una pelle olivastra, bella soffice e vellutata. Seno porta le seconda, un seno piccolo e un po’ cadente ma bello e morbido e ancora sodo.
©  STORIE EROTICHE storierotiche.tumblr.com

Vulva con una striscia di peli ricci e folti e una vagina nerastra e bella carnosa con due labbra grandi.

Gilda ha una figlia di 20 anni già sposata e ha anche un ’ altra figlia una più piccola di 7/8 anni circa, “Sara”. Purtroppo Gilda non ha una vita sessuale immensa con il marito, che anzi spesso la trascura e snobba, mai un complimento, anche se lei è vero che si trascura un po’, ma nonostante tutto è sempre una bella donna.
Sara la figlia più piccola ha una grande amicizia con ragazzo più grande di Sara tre anni, sono alto amici, Sara è molto brava a scuola e ha aiutato tantissimo Filippo nei compiti. Sara assomiglia molto a alla madre, anche se lei ha i capelli più chiari, mamma anche sua mamma da piccola gli aveva più chiari come lei. La figlia è un adolescente molto carina e bellina e dolce, voluta bene da tutti per il suo carattere molto dolce. Filippo è magrolino, molto sveglio, carino con la faccia da furbo e da bulletto, tranne che con Sara perché sono amici dall’infanzia, ci prova già con le ragazze soprattutto più grandi di lui, e a volte non gli va male anche con quelle più grandi, a volte trova qualche diciottenne timida che si lascia sedurre dal suo fascino da bulletto e figo.
Leggi tutto clicca QUI:
https://storieerotichehot.blogspot.com/2022/05/gilda-una-mamma-curvy-sedotta.html?zx=835db7a57a78dcc

©  STORIE EROTICHE storierotiche.tumblr.com

Gabriella e l'amico del suo ragazzo “ Quarta e ultima parte ”

https://storieerotichehot.blogspot.com/2022/01/gabriella-e-lamico-del-suo-ragazzo_27.html
Da quando iniziato a tradire il mio ragazzo con il suo amico Gino è passato qualche mese, è successo così per caso, mai avrei pensato di tradire Stefano, il mio ragazzo! Ma con Gino fare sesso è tutt'altra cosa, Gino mi scopa a dovere, ora mai conosce ogni parte del mio corpo e anche meglio del mio ragazzo e poi Gino mi coinvolge nei suoi giochi e esplora sempre qualcosa di nuovo, come quella volta mi portò nello studio di Giuseppe, un suo amico architetto. Quando entrammo nel suo studio provai molto imbarazzo, c'era altra gente, dei suoi clienti e colleghi immagino, mi sentivo osservata, credo che abbiamo capito perché eravamo li. Inoltre ero vestita anche molto provocante, abito cortissimo e tacchi alti, a Gino piaceva vedermi vestita provocante e sexy.
Dopo circa dieci minuti andarono via tutti tranne Giuseppe naturalmente. Gino era seduto sul bracciolo di una divano e mi fece appoggiare sopra di lui, Giuseppe mi fissava e mi ammirava, io lo guardavo con sfida, Gino mi teneva nei fianchi e mi faceva muovere il bacino strusciando il culo nel suo cazzo, l'abito si stava sollevando e mostravo le mie gambe, Giuseppe era di fronte a noi e poteva vedere tutto il panorama, Gino mi fece allargare di più le gambe in modo da mostrare bene le mutandine, mostravo il mio panorama con piacere, ero senza calze, le mie cosce vellutate a carne nuda. Gino mi palpava nel seno e mi accarezzava le gambe mentre Giuseppe mi guardava eccitato, io lo fissavo con uno sguardo sensuale ed eccitato mentre già stavo segando Gino, in quel momento come tutte le volte che tradivo il mio ragazzo lo pensavo, ma mi eccitava tradirlo e il pensiero di fargli le corna mi eccita.
LEGGI TUTTO CLICCA QUI:
https://storieerotichehot.blogspot.com/2022/01/gabriella-e-lamico-del-suo-ragazzo_27.html

Vorrei raggruppare una serie di storie che siano positive o negative, di amicizia o di amore, raccontate da voi. Se a qualcuno interessa, che mi racconti in privato la Sua storia, anche per sfogo, liberazione. Sarete voi a decidere se potrò pubblicare ed eventualmente rimanere anonimi.

manyinwonderland: E stamattina ero su un treno regionale che veniva da Bologna, dove ero stato per l

manyinwonderland:

E stamattina ero su un treno regionale che veniva da Bologna, dove ero stato per lavoro. Ero già a Modena, stavo tornando a casa, e mi ero messo in un posto da due dietro a uno da quattro a leggere un libro sul Kindle. Era poi arrivato un ragazzo, età da universitario, e si era messo nei posti da quattro occupandone uno davanti a sé. Poco dopo era arrivata una ragazza, anche lei in età da Università, ma sembrava un po’ più vecchia di lui. Si erano messi a parlare del più e del meno, che musica ti piace, cosa fai per Natale, come vanno le lezioni di chitarra, cose così. Si capiva che era un’amicizia pendolare, di quelle che nascono sui treni, e che il ragazzo, se non tutti i giorni, abbastanza spesso, teneva il posto per quella ragazza che viaggiava nella stessa direzione. Si capiva anche che il ragazzo era molto interessato alla ragazza, una cotta di quelle che ti porti a casa e ci rimugini tutti i giorni, aspettando il treno successivo e magari l’occasione buona, per giorni, per mesi. E a un certo punto della discussione lei aveva detto che finalmente aveva incontrato uno, che era un po’ che si vedevano, e che stava aspettando solo che le chiedesse di sposarla. Aveva detto così.
E io l’avevo proprio sentito, anche il rumore, del cuore del ragazzo che finiva sotto le rotaie, schiacciato dalle ruote di tutti i vagoni di quel treno e di tutti quelli che sarebbero passati dopo sulla stessa tratta, oggi, domani e per sempre.
Dopo un attimo di silenzio, lui l’aveva guardata e le aveva detto che era contentissimo e che le augurava tutta la felicità del mondo.
Intanto la ragazza si alzava, e anche io mi alzavo, il treno rallentava e scendevamo a Carpi. Mentre il ragazzo senza più un cuore salutava con la mano e continuava il viaggio verso Mantova.
E il mio Kindle era spento da venti chilometri, ormai, nella tasca della giacca.
Erano due anni che non prendevo un treno regionale per lavoro. Mi era mancato molto.

https://marcomanicardi.altervista.org/stamattina/


Post link
loading