“ Bevevano succo di lampone nel bar della hall, già piú animata da un vocio di persone sedute in poltroncine di fronte alla rotonda a vetri. Sopra lo specchio del bar un orologio senza numeri ma con i punti cardinali segnala le nove e un quarto. «È tardi per lei?» ha domandato Epstein. Il giovane ha fatto cenno di no, controllando la propria immagine allo specchio. È un aeroporto senza piú voli di linea, con arredi di legno chiaro curati e vecchi, e su una parete la silhouette di un planisfero tagliato in verticale da lamelle di metallo azzurro con i fusi orari. «Vede, – ha detto Epstein accennando col bicchiere al pannello, – i fusi orari cosí servono a poco. Dovrebbero dividere lo spazio non per ore ma per azioni; per esempio, tutti quelli che in questo istante bevono succo di lampone da Tokyo a Buenos Aires dovrebbero essere raccordati da una linea tratteggiata; o tutti quelli che si sfiorano una guancia con la mano, o tutti quelli che guardano l’orologio pensando che altrove è un’altra ora. Ci vorrebbero molti piú fusi, intersecanti in ogni direzione, irradiati secondo linee di azione. Questo solleverebbe ognuno dal desiderio di sapere e vedere tutti quelli che nello stesso istante stanno facendo la stessa cosa che fa lui. A volte è un desiderio struggente, come un desiderio di complicità». Brahe si è passato un dito sul sopracciglio, ha pensato un attimo che cosa era meglio fare, poi ha detto: «Sí, ma bisognerebbe scegliere un paniere di azioni. Tutte non ci possono stare. Lei dovrebbe scegliere delle azioni campione, come dei fili attorno ai quali le altre azioni simultanee e dello stesso tipo potrebbero raggranellarsi». Epstein ha riflettuto, poi ha detto in tono pacato: «Azioni di gioia. Anche moderata, ma solo azioni di gioia» e ha guardato in là, verso un manifesto incorniciato dove un trimotore Swissair passava a volo radente su cammello e cammelliere, fermi nel deserto. “
Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Einaudi, 1985.
Sei come la prima stella della sera, come il sole all'alba il giorno dopo una tempesta, un pensiero fisso nella mia mente e una passione irrefrenabile nel mio stomaco. Sei un turbine di emozioni che riveste tutto il mio essere, la droga più potente che abbia mai sperimentato. Sei tutto ciò che ho sempre desiderato e ciò che ancora continuo a volere.
Ma in fondo all'animo nascondevi un impulso spasmodico: il desiderio di essere diverso da quello che eri. È il tormento più crudele che il destino possa riservare a un uomo. Essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano.
Perché anche il cuore umano ha la sua notte, piena di emozioni non meno selvagge dell'istinto di caccia che attanaglia il cuore del cervo maschio o del lupo.
Le passioni legate al sogno, al desiderio, alla vanità, all'egoismo, alla furia erotica del maschio, alla gelosia, alla vendetta, si annidano nella notte dell'uomo come il puma, l'avvoltoio e lo sciacallo nel deserto della notte orientale.
E nel cuore dell'uomo esistono istanti in cui non è più notte e non è ancora mattino, quando le belve escono strisciando dal nascondigli tenebrosi dell'anima, quando il nostro cuore è agitato da una passione che si trasforma in un movimento della mano, una passione che abbiamo educato e addomesticato invano per anni, talvolta per un tempo infinito…
E non è servito a nulla, invano abbiamo cercato di negare disperatamente, di fronte a noi stessi, il vero significato di quella passione, essa si è dimostrata più forte dei nostri propositi, si è mantenuta integra e compatta. A nulla sono valsi argomentazioni e stratagemmí, la realtà è rimasta quella che era.